La storia del calcio brasiliano nel secondo dopoguerra segue una sorta di logica nietzschiana (l’eterno ritorno dell’eguale) in base alla quale, ad un certo punto, la Seleção dopo aver subito una sconfitta particolarmente pesante (si noti bene come per sconfitta i brasiliani intendano qualsiasi Mondiale concluso senza portare a casa la coppa) decide di abbracciare un modello di gioco europeo per poi tornare, sull’onda di un altro fallimento, alla restaurazione del fútbol bailado.
Così è stato ad esempio dopo la campagna tedesca del Mondiale 1974 (con la scelta di abbracciare un calcio più europeo sotto la guida di Cláudio Coutinho) e il conseguente ritorno al modello relazionale sudamericano con l’avvento di Telê Santana a seguito del terzo posto di Argentina 1978.
In Spagna nel 1982 e in Messico nel 1986 il Brasile si scontra col pragmatismo europeo. E allora ecco una nuova virata verso un calcio conservativo, rappresentata dalla nazionale di Sebastião Lazaroni nel 1990.
Facendo un salto in avanti, dopo la batosta (1-7) patita ad opera della Germania nel Mondiale del 2014 (il famoso Mineirazo) ecco che i verdeoro decidono di riavvicinarsi al football del Vecchio Continente. I risultati dei due campionati mondiali successivi (2018 e 2022) portano ad un ulteriore ripensamento: via il sistema posizionale di Tite e avanti con l’ennesimo ritorno al calcio relazionale ingaggiando Fernando Diniz, allenatore ad interim in attesa di Carlo Ancelotti.
Dato che però l’arrivo del tecnico italiano non si è mai materializzato, la CBF (Confederação Brasileira de Futebol) ha scelto alla fine di affidare la conduzione tecnica della Seleção a Dorival Júnior, sessantaduenne allenatore conosciuto per la sua flessibilità tattica.
Dopo pochi mesi la sorprendente sconfitta subita contro il Paraguay (1-0), che ha complicato la corsa del Brasile verso i Mondiali nordamericani del 2026, ha messo sotto pressione Dorival. Il tutto dopo una Copa América deludente.
Ecco allora che si parla di posto a rischio per l’allenatore e di sfide contro Perù e Cile decisive per il suo futuro sulla panchina brasiliana. Eppure il talento non manca. Davanti ci sono giocatori quali Vinícius Júnior, Endrick e Rodrygo. In porta gioca Álisson. In mediana il Brasile può contare su André, Bruno Guimarães, Douglas Luiz e Lucas Paquetá. Al centro della difesa contro il Paraguay hanno giocato Gabriel e Marquinhos, non proprio gli ultimi arrivati.
E allora, qual è il problema del Brasile attuale? Qualcuno ha puntato il dito contro un gioco assente, qualcun altro ha sottolineato le non buone prestazioni di alcuni calciatori (come Bruno Guimarães). C’è poi chi ha lamentato la mancanza di un vero centravanti e chi invece, da parte sua, ha voluto prendere in esame l’assenza di un centrocampista a protezione della difesa, di un equilibratore come Casemiro (o come il Mauro Silva del 1994).
Tutte spiegazioni che hanno senso, a riprova del fatto che il problema del Brasile attuale non è uno solo. Jeff Rueter di The Athletic aggiunge a queste tematiche quella della pressione esistente su una nazionale alla quale non è chiesto soltanto di vincere ma anche di convincere. Di essere cioè la numero uno del mondo sia in termini di efficacia che sul piano estetico.
D’altra parte, quando si parla di calcio la prima squadra alla quale si pensa è il Brasile. Quando poi si stilano classifiche delle più grandi formazioni di tutti i tempi, fra le prime (se non la prima in assoluto) troviamo il Brasile del 1970.
Personalmente riteniamo che, a queste considerazioni, ne debba essere aggiunta un’altra: il Brasile ha una nazionale fortissima, ma non necessariamente la più forte. Se parliamo di talento, l’Argentina, la Francia e forse anche l’Inghilterra e la Spagna non le sono da meno. Tutto ciò rende più difficile vincere e dominare. Certo, non dovrebbe essere un problema battere il Paraguay. E qui forse si dovrebbe aprire il capitolo relativo agli allenatori brasiliani. A parte Diniz esistono ancora dei Coutinho (a dispetto dei risultati ottenuti con la nazionale l’ex capitano dell’esercito fu tecnico di livello internazionale), dei Carlos Parreira, dei Mário Zagallo, dei Vicente Feola o dei Telê Santana?
Fra Lione e il Merseyside
John Textor ha dichiarato che la possibilità di diventare proprietario dell’Everton è entusiasmante come quella di essere eletto Presidente degli Stati Uniti. Non sappiamo cosa pensino in proposito Donald Trup e Kamala Harris ma di certo questa affermazione rende bene l’idea di come il tycoon americano tenga particolarmente a rilevare i Toffees da Farhad Moshiri.
Per diventare azionista di maggioranza del club di Liverpool, Textor deve vendere il 45% delle quote del Crystal Palace attualmente in suo possesso. In caso di acquisto dell’Everton, la speranza dei tifosi è che il cinquantottenne imprenditore di Kirksville (Mo.) sappia fare meglio di quanto fatto finora con l’Olympique Lione, altra squadra della galassia Textor (che controlla anche i brasiliani del Botafogo e i belgi del Molenbeek).
Al di là delle questioni di campo infatti la situazione del club francese non è delle migliori. Regna la confusione sotto il cielo dell’OL. Non a caso infatti il Lione ha proceduto da poco all’allontanamento del direttore sportivo David Friio, insediatosi appena lo scorso dicembre.
In generale, a finire nel mirino della critica (particolarmente de L'Équipe) è la gestione finanziaria di un club che, come dichiarato dallo stesso proprietario, si era impegnato con la DNCG (la Covisoc transalpina) a vendere per €130 milioni e che invece, alla fine, è riuscita a cedere per un totale di €40 milioni.
Secondo la stampa d’Oltralpe il Lione è ancora finanziariamente troppo dipendente dai risultati sportivi. Risultati che sono mancati negli ultimi anni, dato che l’OL non gioca la Champions dal 2019-20. E questo ha pesato a bilancio, così come si fanno sentire gli stipendi importanti di giocatori che il club non è riuscito a trasferire durante questa sessione di mercato (come il portoghese Anthony Lopes).
L’obiettivo di abbattere la massa salariale non è stato poi di certo aiutato dall’acquisto di Jordan Veretout, altro elemento dall’ingaggio pesante.
E così il Lione si ritrova ad essere un club in difficoltà economica, come testimoniano i ritardi nei pagamenti verso alcuni fornitori.
Che fine farà il Valencia?
C’è grande preoccupazione per le sorti di uno dei club (l’altro è il Levante) che rappresenta la terza città spagnola per numero di abitanti. La società di proprietà del singaporiano Peter Lim infatti, a fronte della vendita del portiere Giorgi Mamardashvili (al Liverpool) per €32.5 milioni, ha investito sul mercato appena €1.35 milioni, spesi per l’acquisto di Luis Rioja dall’Alavés.
Tutti gli altri giocatori sbarcati al Mestalla (l’ex juventino Enzo Barrenechea, Maximiliano Caufriez, Dani Gómez, Germán Valera, Rafa Mir e il portiere macedone Stole Dimitrievski) sono arrivati in prestito o a zero.
Su tutti aleggiano dei dubbi di natura tecnica, anche perché portatori di curricula non certo impressionanti. Logiche quindi le perplessità della tifoseria. Riuscirà il tecnico Rubén Baraja a centrare la salvezza con questo materiale a disposizione?
Due conti
Interessante articolo pubblicato dal sito spagnolo 2Playbook.com. In baso a quanto raccolto i club europei sembrano essere diventati più accorti per quanto riguarda i salari che vengono versati ai giocatori. Anche se apparentemente non sembrerebbe essere così i club, nel 2023, hanno amentato gli emolumenti nei confronti dei calciatori dell’1%, a fronte di un aumento dei fatturati del 10%.
Il merito di aver interrotto un trend che, precedentemente, vedeva un aumento della massa salariale che andava di pari passo con l’incremento dei fatturati, è stato attribuito alle norme UEFA sui salari. In pratica le società europee si starebbero adeguando alle regole e questo avrebbe avuto un’influenza positiva sul mantenimento dei costi.
Secondo il rapporto, il mercato inglese resta il maggior fattore di crescita nei costi del calcio. Infatti il costo medio di un giocatore acquistato da un club di Premier League (15.6 milioni di euro) è di tre o quattro volte superiore al prezzo medio di un giocatore acquistato da società di Serie A o de La Liga.
Barcelona, It was the first time that we met
Segnaliamo il bel contributo di ESPN sull’avvio di stagione del Barcellona. La formazione catalana è partita bene e grande merito va attribuito al lavoro di Hansi Flick, tecnico troppo spesso sottovalutato.
Particolarmente efficace è la fase di non possesso dei blaugrana, che l’allenatore tedesco ha impostato su una forte pressione in avanti. I dati riportati da ESPN parlano chiaro: il Barça attuale recupera palla per il 48.4% nel terzo centrale di campo e per il 13.2% nel terzo offensivo.
Con Xavi l’anno scorso invece i recuperi palla in zona centrale erano nell’ordine del 45.3% e quelli in zona offensiva del 9.6%. A questo si aggiunga il dato delle riconquiste nel terzo d’attacco per 90 minuti, passate da una media di 4.5 della stagione 2023-24 a 5.25 in questa.
Insomma, il Barça pressa meglio, con una partecipazione collettiva che coinvolge i vari Pedri, Dani Olmo, Lamine Yamal, Raphinha e Robert Lewandowski. Conquistare palla più in alto concede loro di avere a disposizione transizioni brevi, situazioni nelle quali questi giocatori sanno essere letali.