Alla fine la FA ha trovato l’uomo a cui affidare la panchina della nazionale inglese. A succedere a Lee Carsley (allenatore ad interim dopo le dimissioni di Gareth Southgate) sarà infatti Thomas Tuchel. Per gli Inglesi si tratta del terzo tecnico straniero a guidare la selezione nazionale dopo Sven-Göran Eriksson e Fabio Capello.
L’ex allenatore del Bayern Monaco entrerà in carica nel 2025 con un unico obiettivo, già dichiarato e ben chiaro nella testa del cinquantunenne di Krumbach: fare meglio di Southgate. E questo significa soltanto vincere, a partire dai Mondiali nordamericani che si disputeranno nel 2026. Non sarà facile. E questo per tutta una serie di fattori, a cominciare da quello relativo al fatto che il calcio delle nazionali è molto diverso, anche come tipologia di lavoro, rispetto a quello dei club. Lionel Scaloni e Luis de la Fuente sono due esempi di allenatori vincenti che non sono arrivati alla guida delle rispettive nazionali passando dai club.
Dalla velocità con la quale Tuchel si adatterà a questo contesto passerà molta della fortuna dell’Inghilterra nelle prossime competizioni internazionali.
Prima di tutto Tuchel dovrà però convivere con la stampa inglese, mai troppo tenera con i commissari tecnici. Per di più, il nuovo allenatore dei Tre Leoni è tedesco. Un qualcosa che sarebbe stato impensabile fino a non molti anni fa. E infatti parte della critica non ha preso bene la nomina di Tuchel.
Al di là delle questioni di tipo campanilistico e della solita polemica che, in casi come questo, vede lanciare invettive (se non veri e propri insulti) nei confronti dei tecnici non inglesi (nessuno dei quali però ha più vinto un campionato dai tempi di Howard Wilkinson col Leeds United nel 1992), la scelta di Tuchel appare sensata. Al vertice della lista degli allenatori disponibili, gli unici due nomi importanti erano quelli di Tuchel e di Pep Guardiola. Il futuro di quest’ultimo col Manchester City è in dubbio, avendo il contratto in scadenza nel giugno prossimo. Evidentemente o il catalano ha rifiutato la chiamata della FA oppure questa chiamata non c’è mai stata. In entrambi i casi l’opzione Tuchel non può essere considerata un ripiego.
Mark Bullingham, direttore generale della Federazione e John McDermott, direttore tecnico della nazionale maschile, incaricati della ricerca del nuovo cittì, hanno preso quindi quanto di meglio fosse reperibile su piazza.
Stiamo infatti parlando di un tecnico estremamente preparato, che conosce il calcio inglese avendo allenato il Chelsea, guidato alla vittoria in Champions League nel 2021 (fra l’altro sconfiggendo in finale proprio il City di Guardiola). Tuchel inoltre è espressione di quel modello di gioco tatticamente evoluto che ha preso campo da anni anche in Premier.
Insomma, il calcio inglese non è più quello di venti anni fa e l’ex tecnico dei Blues non si troverà a predicare nel deserto. Detto questo, come ogni nuovo inizio anche quello che vedrà Tuchel protagonista oltremanica presenta delle incognite.
Come ha scritto il Guardian infatti il tedesco è una sorta di “zelota tattico”, molto rigido nell’applicazione dei suoi concetti di gioco. Il che però non è detto che sia a priori un difetto. Alcuni giocatori infatti potrebbero trovarsi a loro agio all’interno di una struttura maggiormente organizzata, con compiti precisi da svolgere.
Il fatto poi che questa rigidità, anche caratteriale, possa portare Tuchel a scontrarsi con qualche giocatore (ipotesi comunque da verificare) non dovrebbe rappresentare un grande problema dato che qui si parla di nazionale. Insomma, il tecnico non sarà costretto a coabitazioni forzate con i giocatori, ma potrà scegliere quelli di suo gradimento anche dal punto di vista dell’attitudine e della mentalità.
Nulla vieta quindi che Tuchel riesca a crearsi un gruppo di fedelissimi con i quali entrare in stretta connessione tattica ed emotiva.
Vedremo cosa succederà. Di certo la scelta della FA è stata coraggiosa e di rottura. Per certi versi, almeno. Sicuramente non dal punto di vista tecnico dato che Tuchel proseguirà nel solco di quel calcio che ormai spopola anche in Inghilterra e che già il suo predecessore Southgate aveva implementato con successo.
Pas plus de pavardism…
Fra gli esclusi eccellenti dalle liste dei convocati compilate dai vari commissari tecnici per questa tornata di gare di Nations League va certamente annoverato il nome di Benjamin Pavard. Il francese infatti è rimasto fuori dalle scelte effettuate da Didier Deschamps, commissario tecnico della Francia.
Il rapporto fra il difensore dell’Inter e la nazionale transalpina, in verità, non è mai stato solido. Il ragazzo di Maubeuge era sì il titolare dei galletti durante la vittoriosa campagna mondiale di Russia 2018, ma di acqua sotto i ponti da allora ne è passata e la sua posizione come elemento chiave della squadra, invece che consolidarsi, è andata via via sgretolandosi. Il tutto fino ad arrivare agli ultimi Europei nei quali l’ex difensore del Bayern Monaco, pur reduce dalla splendida annata vissuta con la maglia dell’Inter, non ha giocato nemmeno un minuto.
Alla ripresa della stagione, ecco un nuovo punto basso nel rapporto fra Pavard e la Francia. Deschamps infatti decide di poter fare a meno di lui, lasciandolo a casa sia durante la sosta settembrina che nel corso di quella attuale.
Ad acuire le difficoltà di Pavard è anche la sua volontà di essere utilizzato al centro della difesa. D’altronde è proprio questo uno dei motivi che, un anno, fa, lo spinse a lasciare il Bayern per varcare le Alpi verso sud, direzione Milano. Il ventottenne prodotto del settore giovanile del Lille non ha mai amato particolarmente la posizione di terzino destro, là dove invece si è trovato ad essere impiegato in carriera. Proprio partendo da laterale di destra Pavard ha realizzato contro l’Argentina il gol più iconico del Mondiale 2018 .
Come difensore centrale tuttavia Deschamp gli preferisce William Saliba, Dayot Upamecano, Ibrahima Konaté e anche il giovane nazionale olimpico Loïc Badé. In pratica, in mezzo alla linea arretrata Pavard è diventato una quinta scelta per il suo tecnico.
Se a questo aggiungiamo il fatto che a destra Deschamps ha inserito con successo Jules Koundé, ecco spiegate le difficoltà di Pavard nel costruirsi un rapporto stabile con la selezione d’Oltralpe.
Da non sottovalutare poi come questo inizio di stagione non sia stato facile per lui nemmeno a livello di club. Rispetto a un anno fa infatti le prestazioni di Pavard hanno subito un calo. Tanto è vero che spesso Simone Inzaghi gli ha preferito nell’undici titolare Yann Aurel Bisseck. E questo nonostante le prestazioni non certo convincenti del tedesco.
Le difficoltà evidenziate da Pavard finora non sono state a livello offensivo. Sotto questo aspetto il francese, quando in campo, continua a rappresentare un asset importante nella struttura tattica predisposta da Inzaghi, garantendo un solido contributo sia a livello di possesso (come dimostrano i 5.33 passaggi progressivi prodotti per 90 minuti di gioco secondo Fbref) che per quanto riguarda la capacità di inserirsi in avanti agendo nelle rotazioni utilizzate dalla compagine nerazzurra.
I problemi invece si sono avuti in fase difensiva. Il dato relativo ai contrasti vinti p/90 ad esempio è sceso da 1.13 a 0.67. Anche se è prematuro trarre delle conclusioni (Pavard ha giocato solo cinque partite in campionato) quello che forse resta più negli occhi è il modo con cui il francese è stato bruciato da Christian Pulisic in occasione della rete segnata dall’americano nel derby o quello in cui Dany Mota del Monza lo ha superato di testa nella partita contro il Monza.
Nel primo caso Pavard è stato battuto in velocità senza riuscire nemmeno ad utilizzare la propria fisicità per spostare l’attaccante del Milan. Nel secondo invece il difensore nerazzurro è stato battuto nel duello aereo dal portoghese.
Due situazioni che, probabilmente, un anno fa Pavard sarebbe stato in grado di gestire meglio. Ovviamente queste due controprestazioni hanno generato molto rumore sulla stampa e da parte dei tifosi con più persone che, già dimentiche della scorsa, splendida annata, hanno cominciato a mettere in dubbio l’ingente spesa (30 milioni di euro) sostenuta l’estate scorsa dall’Inter per assicurarsi le prestazioni del transalpino.
Giudizi affrettati per un giocatore che pare aver trovato una sua precisa collocazione in campo muovendosi da terzo di destra nel 3-5-2 fluido di Inzaghi. Agendo con funzioni ibride (mezzo terzino e mezzo centrale) Pavard ha dimostrato di poter muovere palla nel mezzo spazio così come di poter prendere l’ampiezza e anche sovrapporsi esternamente all’esterno di parte, Denzel Dumfries o Matteo Darmian che sia.
Le possibilità di ripresa quindi ci sono tutte. Diversa è invece la situazione in nazionale. Il livello di profondità e di talento a disposizione di Deschamps per costruire la sua difesa a quattro è infatti tale che Pavard potrebbe incontrare maggiori difficoltà per rientrare nel giro.
Il primo passo da fare in questa direzione passa comunque sempre dall’Inter. Per il francese è imprescindibile riuscire a tornare ai livelli di forma del passato recente e sperare magari che una campagna di Champions portata il più avanti possibile dall’Inter possa far tornare Deschamps sui propri passi.
Down Under
È terminata 1-1- l’attesa sfida fra Australia e Giappone, valida per le qualificazioni alla coppa del Mondo del 2026. In soli ventidue giorni di lavoro il nuovo commissario tecnico australiano Tony Popović è riuscito a ridare nuova linfa ai Socceroos, conquistando quattro punti nelle sfide con Cina e appunto Giappone.
Certo, per fermare i Samurai Blue l’Australia è dovuta ricorrere ad una prestazione estremamente difensiva, evidenziata bene dal fatto che gli oceanici hanno effettuato soltanto un tiro in tutta la partita, che la loro rete è stata figlia di un autogol (come quella nipponica, d’altronde) e che la formazione di Hajime Moriyasu ha registrato il 65% di possesso palla.
Alla fine però i Socceroos hanno limitato il potenziale offensivo della squadra del Sol Levante (meno di un xG prodotto) e portato a casa un punto d’oro, in un momento storico in cui il calcio australiano si trova nettamente indietro rispetto a quello giapponese. Una cosa inimmaginabile all’inizio del Duemila . A tal proposito è interessante l’articolo scritto dal Guardian, che descrive proprio come il sakkā (calcio in giapponese) sia riuscito negli anni a sopravanzare il soccer australiano, con la J-League che rappresenta da tempo un enorme serbatoio di talento.