Com’è stato fatto giustamente notare, uno degli obiettivi del nuovo formato della Champions era quello di dar vita a dei big match già durante la prima fase del torneo. Grandi squadre per grandi partite. A vedere la sfida di cartello fra Manchester City e Inter dello scorso mercoledì lo scopo per ora sembrerebbe raggiunto.
Al di là dello 0-0 finale infatti la gara dell’Etihad Stadium ha lasciato vari spunti interessanti. Non è possibile, all’interno del limitato spazio di una newsletter, elencarli tutti. Per un’analisi più approfondita rimandiamo all’articolo di Daniele Manusia su L’Ultimo Uomo.
In questa sede ci preme invece fare alcune considerazioni, ovviamente sempre tenendo presente quanto detto dal campo e considerando il fatto che Il palo di Rensenbrink è sì una lettura divulgativa ma resta sempre un testo con un’anima tattica.
Fatta questa doverosa premessa, occorre dire che la partita di Manchester sarebbe potuta anche finire con il successo di una delle due squadre senza che l’altra potesse recriminare sul risultato finale. Se Matteo Darmian, ad esempio, invece che provare l’appoggio su Nicolò Barella si fosse deciso a calciare, forse staremmo parlando di grande impresa nerazzurra.
Di contro, ha ragione Pep Guardiola quando, in sala stampa, si lamenta per alcune situazioni offensive che gli inglesi avrebbero potuto gestire meglio (fra l’altro la conferenza post partita del catalano è stata caratterizzata da buoni contenuti, come spesso accade quando a parlare è l’ex allenatore di Barcellona e Bayern).
L’Inter ha fatto la partita che doveva fare, con grande attenzione difensiva soprattutto sugli esterni, dove i meneghini andavano al raddoppio chiedendo contemporaneamente ai propri attaccanti (Marcus Thuram e Mehdi Taremi) di scivolare sul lato palla per evitare al City un facile scarico che avrebbe poi consentito ai Manchester di spostare palla sul lato opposto del campo.
Anche quando gli uomini di Guardiola provavano a sovraccaricare un delle zone esterne, l’Inter riusciva a rendere difficile agli avversari la ricerca dell’uomo libero, utile per superare il blocco difensivo avversario.
Rispetto alla finale che vide protagoniste entrambe le squadre nel 2023, questa volta il City ha cercato di contenere meglio le transizioni rivali, così come si è visto la compagine inglese cercare di invadere l’ultimo terzo di campo con un giocatore in più (sovente Rico Lewis) al fine di cercare di ottenere superiorità contro la linea a cinque della squadra di Simone Inzaghi.
Da parte sua quest’ultimo è rimasto fedele ad un piano gara incentrato sul contropiede, sia artificiale (cioè costruito a seguito di un possesso articolato) sia in modo più diretto e verticale.
In fase difensiva poi la squadra era corta e compatta e questo, come detto, ha reso più difficoltosa del solito la manovra del City.
Alla fine l’undici di Guardiola ha comunque creato tanto, ma senza riuscire a concretizzare e lasciando comunque la sensazione che l’Inter abbia difeso bene. Questo forse perché il temuto Erling Haaland, secondo i dati Fbref, ha chiuso l’incontro con appena due palloni toccati nell’area di Yannick Sommer
Una prova collettiva che comunque non sembra aver soddisfatto particolarmente Guardiola, indipendentemente da quanto dichiarato a fine gara. Tanto è vero che Pep nell’intervallo fra primo e secondo tempo ha sostituito ben due giocatori, inserendo Phil Foden e İlkay Gündoğan per Kevin De Bruyne e Savinho.
È caduta la DDR
Molto è stato detto in questi giorni relativamente all’esonero di Daniele De Rossi da parte della Roma. L’ipotesi più probabile per un avvicendamento tecnico tanto repentino quanto imprevedibile (nonostante le difficoltà palesate dai giallorossi in questo avvio di campionato) è quello prospettato dalla stampa, che ha scritto di dissidi in essere già da tempo fra l’ex tecnico e la società capitolina, in particolare nella figura della CEO Lina Souloukou.
Secondo quanto riportato da Il Messaggero sembra che la manager greca non volesse nemmeno la conferma di De Rossi questa estate, preferendo invece la soluzione con François Modesto DS e Raffaele Palladino in panchina.
Alla fine i Friedkin confermano DDR e affidano la carica di direttore sportivo all’ex Nizza Florent Ghisolfi. Cominciano le incomprensioni fra l’allenatore e il club: dal mercato al sistema di gioco e via dicendo. Alla fine De Rossi viene esonerato e al suo posto viene chiamato Ivan Jurić, il cui procuratore è lo stesso Beppe Riso che gestisce anche Palladino.
Il lavoro che aspetta Jurić è enorme. L’ex tecnico del Torio dovrà infatti cercare di ricompattare l’ambiente e ridare serenità alla squadra. Per farlo avrà a disposizione l’unica arma dei risultati. Ottenerli non sarà facile.
Il modello di gioco di Jurić è profondamente diverso da quello di De Rossi e bisognerà dunque vedere come la rosa si troverà col calcio verticale del croato. Particolarmente interessante sarà poi osservare come alcuni giocatori si adatteranno (o non si adatteranno) all’intensità che Jurić pretende dalle sue squadre in fase di non possesso. Pensiamo, in particolare, ai componenti del reparto offensivo.
Per una disamina più approfondita sulla situazione della Roma rimandiamo all’ultimo episodio de Il Terzo Uomo.
Katastrofa!
Il 9-2 col quale la Dinamo Zagabria è stata affondata dal Bayern in Champions League è costato la panchina al tecnico dei croati, Sergej Jakirović. Si può discutere all’infito sulla scelta operata dal club balcanico, soprattutto tenendo conto che in Inghilterra, in passato, alcuni allenatori sono sopravvissuti a sconfitte simili.
Certo, questa battuta d’arresto è stata particolarmente pesante e la posizione di Jakirović era già a rischio dopo la sconfitta subita qualche giorno prima ad opera dell’Hajduk. Come tecnico ad interim è stato promosso Sandro Perković, da tempo dello staff del club e già allenatore del Riga in Lettonia.
Tutto questo in attesa che il direttore sportivo Marko Marić identifichi il nome del sostituto di Jakirović. Parlando alla stampa dopo l’esonero, Marić ha dichiarato che la Dinamo potrebbe rivolgersi anche ad un allenatore estero. A tal proposito sembra che dalla Francia sia stato offerto Paul Le Guen, ex tecnico anche del Psg. Un nome interessante, tanto più che la Dinamo ha attualmente in rosa quattro calciatori transalpini: Ronaël Pierre-Gabriel, Kévin Théophile-Catherine, Maxime Bernauer e Nathanaël Mbuku.
Men at Work
L’Australia è alla ricerca di un nuovo commissario tecnico dopo le dimissioni di Graham Arnold. Il sessantunenne nativo di Sydney lascia i Socceroos dopo un inizio terribile nel cammino di qualificazione ai Mondiali del 2026, con gli Australiani che hanno conquistato appena un punto in due partite (avendo perso col Bahrain e pareggiato 0-0 con l’Indonesia).
Si chiude un’epoca visto che Arnold è protagonista a vari livelli del mondo della nazionale (da giocatore, da assistente o da capo allenatore) dal 1985.
Il posto di Arnold (al suo secondo mandato alla guida dei canguri) era già a rischio dopo la deludente coppa d’Asia del 2019. In quella occasione l’Australia, chiamata a difendere il titolo continentale conquistato con Ange Postecoglou quattro anni prima, venne malamente estromessa dal torneo ai quarti di finale dopo essere stata battuta dagli Emirati Arabi Uniti.
Successivamente, il confermato Arnold cominciò una campagna di qualificazione al Mondiale 2022 che vide gli Australiani qualificarsi per il rotto della cuffia, dopo un drammatico spareggio intercontinentale col Perù.
Contro ogni pronostico, in Qatar Arnold è riuscito a portare la nazionale oceanica fino agli ottavi di finale, uscendo fuori da un gruppo che comprendeva anche Francia, Tunisia e Danimarca. Per questo e per il ruolo avuto nello sviluppo del calcio locale Arnold lascia un’eredità pesante, al netto dei risultati contraddittori.
Per sostituire Arnold la Federazione ha scelto Tony Popovic, ex Western Sidney Wanderers.