Turno di Champions League entusiasmante quello che ci siamo lasciati alle spalle questa settimana, con tante cose da dire e poco spazio per farlo. Tutto questo nonostante il fatto che il nuovo format a 36 squadre stia già cominciando a mostrare i suoi lati negativi. Ci riferiamo al fatto che sì, è vero che sono aumentate le sfide fra grandi squadre, ma allo stesso tempo si assiste a partite improbabili tra formazioni che al più meriterebbero di stare in Europa League.
Il collocamento delle gare su più giorni, con la presenza di una fascia oraria fissata alle 18.45, rende inoltre difficilmente fruibile l’intera competizione. Molte sfide vanno quindi perse o, per chi può, vengono recuperate solo successivamente.
Nessuno dice che la vecchia Champions a gruppi fosse migliore di quella a girone unico (o, almeno, è troppo presto per poterlo affermare con certezza), tuttavia la massima competizione europea è davvero diventata un vero e proprio campionato, con incontri appetibili e altri dei quali i tifosi si limitano a leggere il risultato finale. Magari l’obiettivo era proprio questo, chissà.
Tornando al campo è stato interessante notare come sia arrivata la vittoria dell’Arsenal sul Psg. Al di là dell’errore in uscita di Gianluigi Donnarumma, che ha favorito la rete di Kai Havertz, l’aspetto peculiare della sfida andata in scena all’Emirates Stadium è stato l’atteggiamento della squadra di Mikel Arteta. Da quando si è infortunato Martin Ødegaard infatti il tecnico spagnolo ha scelto di presentare una versione più difensiva dei Gunners.
Arteta quindi non ha rimpiazzato il talentuoso centrocampista norvegese con un altro elemento quanto piuttosto con un nuovo atteggiamento che vede la sua squadra accettare lunghe fasi di possesso avversario (63% il dato del Psg) per creare così campo alle spalle della linea difensiva rivale da poter sfruttare in contropiede con i vari Havertz, Gabriel Martinelli e Bukayo Saka.
La partita contro il Paris Saint-Germain ha seguito questo copione: gol del vantaggio realizzato molto presto (dopo venti minuti), difesa e contropiede. La struttura di possesso dei parigini non è stata in grado di manomettere il sistema difensivo predisposto da Arteta. La rinuncia a Ousmane Dembélé (per motivi disciplinari) non ha certo aiutato il piano gara di un Luis Enrique poi molto nervoso nel post partita, come dimostrato quando si è rifiutato di rispondere a domande tattiche poste dai giornalisti.
La stampa francese, mai troppo tenera col Psg, ha sottolineato la mancanza di fisicità della squadra di Luis Enrique (con un centrocampo Vitinha, Warren Zaïre-Emery e João Neves da 175cm di media d’altezza) e la scarsa esperienza del tridente (Bradley Barcola, Lee Kang-in, Désiré Doué) come motivi che hanno contribuito alla sconfitta. In realtà quest’ultima è ascrivibile maggiormente al fatto che il possesso radicalmente posizionale dei francesi abbia prodotto soltanto due tiri in porta, per un totale di 0.41 xG.
Problema Reale
Serata storta anche per il Real Madrid, che ha visto porre fine alla striscia di 36 gare di coppa senza una sconfitta. I blancos sono infatti stati battuti da Lilla di Bruno Genesio grazie al rigore trasformato da Jonathan David e causato da un fallo di mano di Eduardo Camavinga.
Proprio la prestazione così così del francese ha riproposto la questione della successione a Luka Modrić (non più titolare fisso date le trentanove primavere) e Toni Kross (che si è ritirato dopo gli Europei).
Il Real ha affidato questa pesante eredità a Federico Valverde, Camavinga e Aurelien Tchouameni, ben sapendo che i tre rappresentano profili tecnici diversi dal croato e dal tedesco. Il che dovrà portare Carlo Ancelotti a rivedere alcune cose. L’uruguaiano e i due francesi sono infatti giocatori fisici, con qualità di palleggio non paragonabili a quelle di Modrić e Kroos.
Di conseguenza, contro il Lilla le merengues hanno fatto fatica a trovare Vinícius e Endrick. La forza del modello di Carletto deriva dal fatto che i suoi giocatori sono liberi di associarsi intorno al portatore di palla, moltiplicando le linee di passaggio e andando a trovare gli spazi liberi non fra le linee ma fra i difendenti avversari.
Come in modelli maggiormente meccanicizzati, anche in quello relazionale del Real è necessario avere giocatori adatti a questo tipo di approccio. Che lo siano Kylian Mbappé e Arda Güler (oltre ai già rodati Vinícius, Endrick e Rodrygo) appare plausibile. Per quanto riguarda invece gli interni di metà campo, sono necessarie altre verifiche. Soprattutto, non è detto che Valverde, Camavinga e Tchouameni siano in grado di poter fornire sempre palloni puliti in avanti.
Contro il Lilla ad esempio il possesso del Real è stato lento e inconcludente, come ammesso dallo stesso Ancelotti. Un problema che l’allenatore italiano dovrà cercare di risolvere quanto prima.
Senza controllo
Una partita iniziata con due infortuni a giocatori chiave (Bremer e Nico Gonzalez), proseguita con una rete concessa a Benjamin Šeško alla prima disattenzione difensiva, con l’espulsione del proprio portiere e con un rigore (realizzato sempre da Šeško) che ridava il vantaggio al Lipsia, si è invece conclusa con una entusiasmante vittoria centrata dalla Juve sul difficile terreno della Red Bull Arena.
Fra le tante cose che si potrebbero dire di questa sfida, quella forse più intrigante riguarda il fatto che la squadra di Thiago Motta ha a lungo dettato il contesto tattico mantenendo un controllo ossessivo sulla partita. E questo sia tramite il possesso (55% a favore dei bianconeri) sia anestetizzando le transizioni della formazione di Marco Rose.
Tuttavia, una volta trovatasi nuovamente in svantaggio e con un uomo in meno, la Juventus ha abbraccio il caos di una partita diventata aperta e disordinata, mantenendo questo approccio anche dopo aver realizzato il gol del pareggio con la seconda realizzazione personale di Dušan Vlahović. La rete della vittoria segnata da Francisco Conceição finiva poi per premiare questo atteggiamento.
Certo, il finale arrembante dei tedeschi avrebbe potuto consentir loro di agguantare un pareggio che, alla fine, sarebbe stato meritato. Così come c’è da dire che Motta deve le già citate realizzazioni del 2-2 e del 2-3 alle prodezze individuali dei calciatori a disposizione.
Però il fatto che il risultato finale abbia sorriso alla compagine bianconera dopo che quest’ultima ha scelto di abbandonare la strada fin qui battuta è sintomatico di come le partite possano risolversi anche in modo diverso da quanto preventivato. È il fascino del calcio.
Oh dear
Sempre in tema Champions segnalo un interessante articolo del Guardian sullo stato in cui si trova il calcio scozzese alla luce dell’umiliante sconfitta (1-7) subita dal Celtic contro il Borussia Dortmund.
Che dire? La finale di Europa League raggiunta due anni fa dai Rangers Glasgow è stato chiaramente un evento episodico. La realtà è che il football giocato oltre il vallo di Adriano non è competitivo a livello continentale.
La Scozia continua a produrre buoni giocatori (come i napoletani Scott McTominay e Billy Gilmour) ma non più squadre decenti. E nemmeno grandi allenatori. La terra che ha dato i Natali ai vari Jock Stein, Matt Busby, Andy Roxburgh e Alex Ferguson non ha oggi un punto di riferimento tecnico. Basti pensare che il manager più interessante della prima divisione scozzese è Jimmy Thelin, svedese che guida l’Aberdeen.