Forse è giunto il momento di dire basta. E, dato che non sarà lui a farlo, sarebbe il caso che a prendere la decisione fosse l’altra metà della coppia, vale a dire la nazionale portoghese. Il lui in questione è ovviamente Cristiano Ronaldo.
Gli Europei in corso di svolgimento in Germania hanno evidenziato, semmai ce ne fosse stato ulteriore bisogno, il declino inevitabile del campione di Madera. Ronaldo non segna più come prima, non salta più come prima, non corre più come prima, ma resta un elemento di disordine tattico per la sua squadra ed il suo allenatore (in questo caso il commissario tecnico del Portogallo, lo spagnolo Roberto Martínez).
Al di là di questo però, CR7 rappresenta pienamente il prototipo del giocatore del Duemila, vale a dire un calciatore mediaticamente più importante degli altri dieci che lo accompagnano sul terreno di gioco. E questo Ronaldo lo sa. Mentre altri fuoriclasse nella storia del calcio (da Alfredo Di Stéfano a Ferenc Puskás, da Johan Cruijff a Michel Platini fino a Diego Maradona e Lionel Messi) sono sempre state delle individualità eccezionali all’interno di un collettivo, il portoghese è assurto a simbolo di una concezione del gioco antitetica a quella originale. I padri fondatori infatti hanno creato il calcio come gioco di squadra, mentre Ronaldo lo interpreta come uno sport individuale, nel quale i record personali contano più che i successi del gruppo.
È questo il probabile motivo per cui, nella gara contro la Turchia, CR7 ha deciso di servire Bruno Fernandes piuttosto che battere comodamente a rete in prima persona. Così facendo infatti Ronaldo è diventato il giocatore con più assist prodotti nella storia degli Europei (7).
Un concetto valido anche per le lacrime versate dal campione portoghese in occasione del rigore fallito contro la Slovenia durante i tempi supplementari della sfida valevole per gli ottavi di finale. La realizzazione di quel tiro dagli undici metri avrebbe infatti reso Ronaldo il primo giocatore di sempre a segnare in sei edizioni del campionato d’Europa.
L’ego smisurato di Ronaldo e la sua concezione del ‘prima io’ si vede bene anche dalla questione relativa ai calci di punizione. CR7 non è nemmeno lontanamente parente dei grandi specialisti del tiro piazzato. Nonostante ciò, si ostina a voler calciare in porta ogni punizione, da ogni posizione. A discapito degli altri, buonissimi tiratori presenti nella rosa del Portogallo (a partire da Bruno Fernandes e Bernardo Silva).
In generale, Ronaldo conclude a rete ogni volta che può. Lo score con cui il portoghese conclude quelli che saranno gli ultimi Europei della sua carriera parla di 23 conclusioni prese (per un totale di 3.5 xG) e nessun gol segnato. In una grande competizione soltanto Messi, una volta, ha fatto peggio (29 tiri e nessuna rete ai Mondiali 2010).
La presenza in campo di Ronaldo quindi non è più decisiva per il Portogallo come un tempo. Continua però ad essere condizionante. L’eliminazione subita ad opera della Francia è figlia anche di questo. I compagni lo hanno cercato, forse troppo spesso e l’intera fase offensiva si è dovuta coordinare in base ai suoi movimenti. I vari Rafa Leão, Silva, Fernandes, Vitinha hanno giocato solo per supportare il loro centravanti. In questo Euro 2024 Ronaldo si è però fatto notare più per le invasioni provocate (da parte di fan che scavalcano le tribune nella speranza di farsi un selfie col portoghese) che per quanto fatto in campo.
Altri attaccanti come Gonçalo Ramos hanno visto poi limitare le proprie possibilità di sviluppo a causa del poco tempo passato in campo, per colpa proprio dell’utilizzo di Ronaldo. Forse sarebbe stato il caso che CR7, in questa ultima fase della sua parabola con la nazionale, avesse accettato un ruolo da super sostituto che, uscendo dalla panchina, potrebbe rivelarsi utile per decidere le sorti di una partita. Già, ma chi glielo andava a spiegare?
No good
Gli Stati Uniti escono prematuramente da una Copa América che li lascia con una sola vittoria conquistata (contro la Bolivia) e molto a cui pensare, a cominciare dalla posizione dell’head coach Gregg Berhalter. Come spesso accade quando si parla di sport in America, per decidere delle sorti di un tecnico è necessario prima tracciare un bilancio del suo operato in questi anni.
Quando il cinquantenne di Englewood (New Jersey) prese in mano le redini del programma calcistico nazionale (2018) gli Usa erano reduci da una mancata qualificazione ai Mondiali di Russia. Un risultato negativo che aveva interrotto una striscia consecutiva di partecipazioni alla massima competizione nel mondo del calcio che durava dal 1990.
Berhalter ha avuto la forza di risollevare la nazionale a stelle e strisce, conducendola fino ad un inatteso ottavo di finale all’edizione seguente dei campionati mondiali, quella di Qatar 2022.
Durante e dopo quel torneo, scoppiò il caso Gio Reyna, col giocatore spedito a casa per scarso impegno e le seguenti polemiche (sollevate dalla famiglia Reyna) che puntavano il dito anche contro i comportamenti tenuti in passato da Berhalter nei confronti della sua allora fidanzata (e futura moglie) Rosalind Berhalter. Il tutto portò all’allontanamento del commissario tecnico e a una investigazione condotta dalla USSF (la Federcalcio americana), al termine della quale Berhalter è stato scagionato e reinstallato nel suo ruolo.
Questa precoce eliminazione in Copa América ha creato malumore intorno alla figura di Berhalter, con molti tifosi e media che ne chiedono la testa. Cercando di razionalizzare la situazione, occorre dire che la rosa che ha giocato nel torneo (fra l’altro disputato in casa) era mediamente giovane, comprendendo nove elementi di 23 o meno anni, fra i quali Sergiño Dest (23), il già citato Reyna (21), Yunus Musah (21), Joe Scally (21) e Malik Tillman (22).
L’esperienza però non mancava dato che un totale di 18 convocati sul totale di 26 erano presenti in Qatar. La questione dell’inesperienza non può quindi essere considerata come un motivo valido per giustificare le opache prestazioni della compagine nordamericana.
Quello che invece va tenuto in considerazione è il livello medio di una squadra che, in questo momento, può contare su pochi calciatori di livello internazionale. A parte Christian Pulisic infatti, forse soltanto Weston McKennie e Tyler Adams si possono considerare tali. Tutti gli altri devono crescere.
Soprattutto, gli Stati Uniti continuano a essere privi di un numero 9 di primo piano. In attesa che si sviluppi Ricardo Pepi, ad oggi l’unica vera realtà nella posizione è rappresentata da Folarin Balogun, autore di un ottimo torneo ma che non è ancora a livello di un Pulisic.
Ciò che manca quindi è la qualità generale. Per esempio: contro il pressing orientato sull’uomo dell’Uruguay di Marcelo Bielsa (dal quale si sarebbe potuti uscire con tecnica e movimento) lo USMNT è riuscito a generare appena 0.56 xG, in base ai dati riportati da ESPN.
Che fare quindi con Berhalter? Il tecnico ha svolto un ottimo lavoro fra il 2018 e il 2022, ma il programma sembra arenatosi dopo il Qatar. Detto questo, chi ci sarebbe disponibile per sostituire l’attuale allenatore? Jürgen Klopp sembra solo un sogno dei tifosi.
In definitiva la questione sembra quindi riguardare più il materiale umano a disposizione che le eventuali mancanze dell’allenatore. Prima dei prossimi Mondiali (che si disputeranno proprio in Nord America), la USSF dovrà trovare il modo di tirar fuori altri due o tre giocatori di qualità per rendere lo USMNT competitivo per l’appuntamento iridato.
Zaniolo bergamasco
E così, alla fine, Nicolò Zaniolo torna in Italia. Lo fa andando a vestire la maglia dell’Atalanta, in quella che diventa la nuova sfida intrapresa da Gian Piero Gasperini per recuperare un giocatore di talento il cui processo si è fermato nelle ultime stagioni.
Al di là delle questioni extra campo, riguardanti anche l’entourage del giocatore, quale utilizzo farà Gasp sul terreno di gioco dell’ex giocatore della Roma? Riuscirà il tecnico nerazzurro a ricostruire la carriera di Zaniolo, così come fatto con Charles De Ketelaere e Gianluca Scamacca (solo per restare al passato più recente)?
Provato in diverse posizioni e con diverse funzioni da svolgere durante la sua parabola calcistica, Zaniolo ad oggi non si è specializzato in nessuno dei ruoli che, di volta in volta, si è provato a cucirgli addosso. Il venticinquenne massese infatti non è diventato né un esterno da tridente, né un trequartista e non si è ricavato nemmeno un futuro da No.8 (come invece sembrava possibile ad un certo punto).
In pratica, Zaniolo è rimasto un giocatore abile a far risalire il campo alla propria squadra con conduzioni palla al piede, veloce in transizione, bravo tecnicamente ma in difficoltà quando si tratta di compiere la scelta giusta negli ultimi trenta metri.
In questo senso, a Bergamo la collocazione ideale per Zaniolo parrebbe essere quella da secondo trequartista nel 3-4-2-1 atalantino. Un posizionamento che però dovrà mettere in condizione l’ex Galatasaray di giocare prevalentemente fronte alla porta, dato che di spalle il ragazzo fa ancora una certa fatica.
Soprattutto, Gasperini dovrà lavorare sulle abilità associative di Zaniolo, per far sì che il neo acquisto possa diventare un elemento utile alla fase offensiva orobica e non risulti essere invece un corpo estraneo alla manovra della squadra. Fino a quando non si verificherà questo sviluppo, l’utilizzo di Zaniolo potrebbe venir limitato a quello di arma tattica da utilizzare a gara in corso per spaccare la partita.
Il rinnovo di ten Hag
Nonostante l’ottavo posto dello scorso anno (peggior risultato di sempre in Premier nella storia del club) il Manchester United ha deciso di estendere il contratto di Erik ten Hag fino al 2026.
La vittoria nella FA Cup, ottenuta a discapito dei rivali cittadini del City, è stata quindi ritenuta sufficiente dal nuovo direttore sportivo Dan Ashworth per prolungare l’accordo col cinquantaquattrenne tecnico olandese. A questo successo si unisce quello in Carabao Cup, trofeo conquistato durante il primo anno della gestione ten Hag a Old Trafford.
La scelta dello United rappresenta quindi un voto di fiducia del proprietario Jim Ratcliffe nei confronti dell’ex guida tecnica dell’Ajax. Certamente, non una fiducia incondizionata. Tanto per cominciare, secondo quanto riportato da The Athletic lo staff di ten Hag subirà un profondo cambiamento, con i probabili inserimenti di Ruud van Nistelrooy e dell’allenatore dei Go Ahead Eagles, Rene Hake. L’ex attaccante dovrebbe prendersi cura del reparto offensivo, in sostituzione del partente Benni McCarthy. Sotto quest’ultimo lo United l’anno scorso ha segnato appena 57 goals in 38 gare di Premier.
È vero che van Nistelrooy e Hake sono graditi a ten Hag, segno del fatto che lo si voglia mettere nelle condizioni migliori per avere successo. È altrettanto evidente però come saranno i risultati a determinare il futuro del tecnico a Manchester. Se la prossima stagione dovesse essere una ripetizione di quella appena trascorsa, difficilmente la INEOS terrà ten Hag oltre l’estate 2025. E questo indipendentemente dal contratto in essere.