In uno sport così episodico come il calcio, non sempre avviene che il più meritevole vinca, almeno in una partita singola. Stavolta invece il risultato è stato coerente con quanto visto in campo. Il Napoli infatti ha meritato la vittoria sulla Juventus al termine di uno scontro diretto che potrebbe essere in futuro percepito come uno snodo fondamentale nella corsa dei partenopei verso il loro terzo tricolore, il primo senza Maradona.
Dalla sfida giocata venerdì nello stadio proprio dedicato a Diego sono quindi uscite due squadre con consapevolezze diverse. Da una parte il Napoli, saldo nelle proprie idee calcistiche e forte di un gioco vincente e convincente. Dall’altra una Juve che deve nuovamente chiedersi se un certo tipo di calcio sia funzionale o meno ai giocatori presenti in rosa.
Presentiamo ora alcune considerazioni utili alla discussione. Per quanto riguarda i padroni di casa, pur con le dovute differenze, essi rappresentano in qualche modo quello che è stato il Milan dello scorso torneo, vale a dire una squadra contemporanea, europea, che pratica un gioco attuale. Luciano Spalletti ha costruito una macchina perfettamente organizzata, praticando una versione ibrida di quel gioco di posizione che si è imposto in Europa negli ultimi dieci anni grazie soprattutto al Barcellona di Pep Guardiola.
Versione ibrida perché la struttura posizionale del Napoli è meno fissa di quelle che spesso hanno mostrato le ultime versioni di quel tipo di calcio (pensiamo alla Spagna o alla Germania ai recenti Mondiali del Qatar). Nel modello di Spalletti ci sono degli spazi da occupare, segnatamente quelli in rifinitura centrale (fra le linee di difesa e centrocampo avversario), in ampiezza (lungo le corsie esterne) e in profondità (attraverso attacchi alle spalle dell’ultima linea difensiva rivale, alla ricerca di una verticalità che esiste sempre, anche contro squadre schiacciate a difesa dei propri ultimi sedici metri).
Questa occupazione dello spazio non è però rigida. I giocatori del Napoli infatti (e lo si è visto ancora una volta contro la Juve) non occupano staticamente queste posizioni, muovendosi invece ora per riempirle, ora per svuotarle e renderle così accessibili ai compagni.
Continue rotazioni posizionali sono dunque parte integrante del modello di gioco proposto dal tecnico napoletano. Si tratta per l’appunto di un atteggiamento a metà strada fra il rigido posizionalismo di alcuni e il calcio aposizionale di matrice sudamericana.
All’interno di questa costruzione ogni giocatore riesce a svolgere al meglio determinate funzioni. Così, venerdì contro i bianconeri, se è facile sottolineare la partita giocata da Victor Osimhen o da Khvicha Kvaratskhelia, non bisogna però dimenticarsi dell’apporto dato da Giovanni Di Lorenzo e da Mário Rui alla fase di possesso azzurra.
Il capitano del Napoli ha infatti giocato ben 92 palloni, registrando un dato di 5 passaggi chiave nel modello Sics (cioè passaggi che permettono di superare almeno una linea difensiva avversaria). Da parte sua il portoghese ha giocato 67 palloni con 3 passaggi chiave.
E veniamo alla Juventus. Il piano gara predisposto da Allegri ha fatto acqua fin dall’inizio. In particolare è totalmente saltata l’idea di utilizzare Chiesa da quinto di difesa.
Anche se non è attualmente la sua posizione ideale l’ex viola ha comunque le qualità necessarie per poter svolgere le funzioni di esterno in una difesa a cinque. Il problema non è tanto farlo, quando venir chiamato a svolgere quelle funzioni all’interno di un contesto reattivo, cioè in una squadra che si abbassa notevolmente nella propria trequarti e deve poi risalire almeno 70 metri di campo per attaccare.
Il posizionamento medio dei giocatori della Juve nel primo tempo, su possesso del Napoli, rende bene l’idea delle difficoltà del no.7 bianconero a interpretare troppo difensivamente il ruolo di esterno a tutta fascia (la sua posizione risulta infatti più alta degli altri quattro giocatori dell’ipotetica linea a cinque juventina).
Sul primo gol di Osimhen si vede poi come Chiesa, pur vedendo Kvaratskhelia (dal cui tiro respinto da Wojciech Szczęsny scaturirà la rete del nigeriano), vada verso il proprio portiere invece di andare a contrasto del georgiano.
Dopo il vantaggio partenopeo (e anche dopo il raddoppio) la Juve ha vissuto il suo momento migliore. La parte centrale e finale del primo tempo ha in qualche modo detto che un’altra Juve è possibile.
Chiesa viene riproposto più avanti, al fianco di Ángel Di María e Arkadiusz Milik. La squadra di Allegri alza l’intensità e il livello della pressione. Gli ospiti hanno delle occasioni. Non a caso la Juventus accorcia le distanze e, al termine del primo tempo, nonostante il predominio territoriale del Napoli (baricentro medio di 54.67m) la battaglia degli expected goals (xG) è sostanzialmente in parità.
Nella ripresa, la Juve sparisce. Allegri affronta i secondi quarantacinque minuti con un 4-4-2 classico che prevede Chiesa esterno sinistro di centrocampo e Filip Kostić terzino sulla stessa fascia, Weston McKennie ala destra, Manuel Locatelli e Adrien Rabiot in mezzo.
Il nuovo assetto, condito dal solito atteggiamento troppo passivo, non funziona. Il Napoli trova spazi fra le linee e fra uomo e uomo all’interno della stessa linea. La Juventus è caotica, disordinata e finisce per subire una dura punizione.
Il risultato finale di 5-1 è largo, ma rende bene l’idea della distanza che in questo momento esiste fra le due squadre. Così come spiegano bene questa differenza anche i 10 punti di vantaggio accumulati dal Napoli in classifica. Non è una distanza tracciata da un differente livello di qualità dei singoli, ma da una diversa di capacità nell’utilizzo del materiale umano a disposizione.
Una Juve che aveva subito solo 7 gol nelle precedenti giornate di campionato, ne concede 5 tutte in una volta al Napoli di Spalletti.
Nelle otto partite precedenti a quella di venerdì, inoltre, la banda Allegri aveva registrato altrettanti clean sheet. La sfida del Maradona ha risposto alla domanda se questo rendimento difensivo poteva essere mantenuto a lungo.
Già nell’ultima puntata de Il Terzo Uomo era stata affrontata la questione, analizzando il dato delle zero reti subite alla luce dei big data che evidenziavano come ad agevolare il rendimento della compagine bianconera in termini di gol subiti ci fossero stati anche gli otto pali centrati dagli avversari, le parate di Szczęsny e gli errori in fase di finalizzazione da parte di attaccanti non del livello di quelli a disposizione di Spalletti.
Perdere contro questo Napoli ci può stare anche per la Juventus. Perdere così no. La squadra di Allegri ha cercato di giocare il suo calcio, ma è stata travolta da quello di Spalletti. Come ripartire ora? Forse da una proposta un po’ più attiva in entrambe le fasi di gioco. L’impressione è che i mezzi per essere maggiormente propositivi (anche a livello di pressing) ci siano. La volontà forse no.