Tre squadre arrivate ai quarti di finale della competizione europea più prestigiosa. Non succedeva dal 2006. Il calcio italiano è guarito, almeno tecnicamente? Non così in fretta. Dal punto di vista tattico è vero che alcune novità si cominciano a vedere anche dalle nostre parti e che si notano dei miglioramenti.
In particolare Napoli e Milan hanno portato ai vertici del campionato approcci nuovi per le nostre latitudini. Da una parte infatti abbiamo il gioco posizionale del Milan, che ha condotto i rossoneri alla vittoria nello scorso campionato. Dall’altra il modello più funzionale utilizzato da Luciano Spalletti, che sta facendo trionfare i partenopei in questo torneo.
Tutto questo non significa però che il livello del nostro massimo campionato si sia alzato in generale. Basterebbe guardare la lotta per non retrocedere per rendere l’idea. Restiamo però all’analisi delle big. La Juventus, una delle squadre meglio attrezzate a livello di rosa, è uscita presto dal giro scudetto, al di là delle questioni relative alla penalizzazione e, in coppa Campioni, è stata eliminata in un girone con Psg, Benfica e Maccabi nel quale avrebbe potuto (dovuto?) centrare la qualificazione alla fase eliminatoria.
Le milanesi hanno invece ottenuto il passaggio del turno sia nella fase a gironi sia negli ottavi. Il Milan si è sbarazzato del Tottenham al termine di due prestazioni caratterizzate da un certo ritorno a quella solidità difensiva che l’anno scorso aveva contribuito a condurre i rossoneri al titolo di campioni d’Italia. Una squadra che non è guarita, come mostrano le sconfitte subite a Firenze e Udine in campionato. Del nuovo Milan di Stefano Pioli comunque ci siamo già occupati in una precedente edizione di questa newsletter.
Giova ricordare come gli Spurs affrontati in questo primo turno del 2023 siano lontani parenti della squadra che ci si attendeva al momento in cui venne effettuato il sorteggio che ha accoppiati i rossoneri con i londinesi.
Adesso il sorteggio dei quarti di finale di Champions ha messo Milan e Napoli di fronte in uno scontro fratricida. Una delle due si qualificherà per certo alle semifinali. Sarà interessante osservare la battaglia tattica fra il già citato gioco posizionale dei rossoneri e il calcio praticato dal Napoli di Spalletti.
Venendo all’Inter, i nerazzurri hanno eliminato un Porto non trascendentale al termine di un doppio confronto nel quale la compagine di Simone Inzaghi si è segnalata più per la resistenza difensiva che per quanto prodotto in attacco. In questo senso è stata emblematica soprattutto la gara di ritorno all’Estádio do Dragão.
Contro i portoghesi l’Inter è stata ben felice di lasciare il possesso (67%) alla squadra di Sergio Conceição, accettandone il dominio territoriale ed in termini di controllo del pallone per rifugiarsi in fasi di difesa posizionale che avevano lo scopo di frustrare la manovra d’attacco dei Dragões.
Il Porto ha gestito palla in maniera alquanto fluida ma, se si eccettuano le difficoltà incontrare a sinistra (la destra difensiva dell’Inter) da Denzel Dumfries contro Wenderson Galeno, senza particolare costrutto in termini di pericolosità offensiva. La libertà concessa dall’Inter a Marko Grujić e la superiorità portata (sempre a sinistra) da Zaidu Sanusi e da Mateus Uribe non erano sfruttate a dovere dai padroni di casa.
L’Inter ha quindi giocato una partita nella propria comfort zone, anche se non è riuscita ad azionare in modo proficuo il contropiede, soprattutto a causa della giornata alquanto negativa di Lautaro Martínez.
Le cose sono cambiate nel finale, quando il Porto ha cercato (più con la forza della disperazione in verità) il forcing per andare almeno ai supplementari, cominciando a mettere palloni su palloni negli ultimi sedici metri di campo.
In questa circostanza si è eretto a protagonista André Onana, abile a sbrigliare più volte la matassa e a respingere gli attacchi rivali. La sequenza finale salvataggio sulla linea, palo, traversa è esplicativa del tipo di assalto affrontato dall’Inter e del livello di prestazione difensiva effettuata, che per certi versi ha ricordato quella mitologica della squadra di José Mourinho al Camp Nou nel 2010.
Insomma, se il Napoli ha continuato a impressionare negli ottavi come già aveva fatto nel raggruppamento contro avversarie di ben altro livello rispetto all’Eintracht (Liverpool e Ajax) le due compagini meneghine hanno potuto sfruttare un accoppiamento favorevole nel turno a eliminazione diretta. Vero che l’Inter ci è arrivata eliminando nel girone il Barcellona, ma quella vista non è stata certo la versione migliore dei blaugrana.
Dall’urna, per gli uomini di Inzaghi, è uscito il Benfica di Roger Schmidt. Avversario temibile, da non sottovalutare. L’Inter ha comunque i mezzi per giocarsi la qualificazione.
Fra l’altro, in caso di passaggio del turno dei nerazzurri, con Milan e Napoli dalla stessa parte del tabellone, ci sarebbe sicuramente una italiana in finale.
È chiaro che dagli esiti della campagna di coppa (e dalla qualificazione alla prossima Champions attraverso il campionato) passerà la valutazione sulla stagione di Simone Inzaghi. Il tecnico dell’Inter ha accusato le critiche che gli sono piovute in testa nel corso di questa stagione e ha rimandato verosimilmente alla fine dell’annata una sua replica.
Come spesso accade nel calcio (e non solo, anche in ambito accademico) quando si affrontano due tesi contrapposte (Inzaghi ha fatto quello che poteva, Inzaghi poteva fare di più) ci sono pezze d’appoggio per sostenere entrambe le tesi.
Rispetto all’Inter di Conte l’ex allenatore della Lazio ha dovuto nella prima stagione fare a meno di due pezzi da novanta come Lukaku e Hakimi. Nonostante ciò, la rosa a disposizione nello scorso campionato sembrava sufficientemente competitiva per arrivare allo scudetto. A vincere invece è stato il Milan. Senza togliere niente ai meriti dei cugini, da parte interista si è concorso alla perdita del tricolore, in particolare quando Inzaghi ha perso punti nelle partite dove è stato costretto a giocare senza Marcelo Brozović.
La squadra non aveva un piano di riserva. Lo scudetto si è perso in quei frangenti, non per l’errore di Radu a Bologna.
Quest’anno Hakan Çalhanoğlu si è calato meglio nella parte del vice del croato, tanto è vero che contro il Porto ad esempio (sia all’andata che al ritorno) Inzaghi ha preferito il turco allo stesso Brozović. Una soluzione che non ha convinto fino in fondo, con l’ex milanista che ha lavorato molto bene in non possesso ma che in possesso, pur facendo cose buone, non è al momento ai livelli di Brozo.
I punti persi con Monza, Sampdoria, Empoli, Bologna e Spezia poi non depongono a favore di Inzaghi e della sua abilità nel tenere la squadra concentrata negli impegni contro le piccole del campionato.
In più, quest’anno la squadra subisce troppi gol, anche se bisogna dire che Inzaghi ha dovuto fare a meno per molto tempo di Milan Škriniar e ha visto l’involuzione di Stefan de Vrij e che i dati in termini di xGA per tiro sono molto buoni.
Come si vede ci sono fattori per assolvere calcisticamente Inzaghi così come ce ne sono altri per poterlo criticare. Per questo, come detto prima, un giudizio completo sarà possibile solo a stagione finita.