La battaglia di Budapest
Cosa ci ha detto la finale di Europa League fra Roma e Siviglia. La stagione di Tudor a Marsiglia. Chi è Marcelino García Toral.
Al termine di 146 minuti di partita la finale di Europa League fra Roma e Siviglia si è conclusa con la vittoria degli spagnoli ai calci di rigore.
Per gli andalusi si tratta del settimo trionfo in altrettante finali del torneo disputate. Ormai esiste una sorta di mistica sivigliana che ammanta la coppa Uefa da quando è entrata in vigore la nuova formula di assegnazione del trofeo.
La finale in sé verrà ricordata anche per lo spettacolo offerto. Non uno da palati fini, quanto invece un non gioco che ha ricordato alcuni derby nostrani di trent’anni fa. A riprova di una gara agonistica più che tecnica c’è il dato degli ammoniti: sono stati in totale ben 13 (6 per il Siviglia, 7 per la Roma).
Dal punto di vista tattico José Mourinho aveva preparato la sfida nel migliore dei modi. La Roma del portoghese è infatti compagine che fa fatica a produrre occasioni se costretta a lunghe fasi di attacco posizionale, preferendo invece difendere con un blocco medio (a volte anche basso) creando così spazio alle spalle della linea difensiva avversaria, da attaccare poi con rapide transizioni.
All’interno di questa organizzazione Mourinho ha strutturato la squadra con Paulo Dybala più vicino a Tammy Abraham e con Lorenzo Pellegrini da trequarti che, in fase di non possesso, scivolava indietro per completare una mediana a tre con Bryan Cristante e Nemanja Matić.
La fase difensiva giallorossa nel primo tempo è stata attiva. La squadra di Mourinho pressava forte in blocco medio e conquistava diversi palloni. Da uno di questi nasceva l’imbucata di Gianluca Mancini che Dybala trasformava nella rete del vantaggio.
Una volta andata in vantaggio la Roma commetteva l’errore di passare in modalità gestione. Resta da stabilire quanto questo sia stato un atteggiamento voluto dal tecnico o una forzatura a causa di un Siviglia che guadagnava campo e cominciava a palleggiare con più sicurezza. Il palo colpito da Ivan Rakitić nella parte finale del primo tempo testimoniava la crescita della compagine andalusa.
Crescita che continuava a inizio ripresa, con José Luis Mendilibar che all’intervallo aveva inserito Erik Lamela e Suso. Proprio l’ex milanista, che andava spesso a lavorare nel mezzo spazio destro, diventava un fattore importante per la squadra spagnola, associandosi bene con i compagni di catena Jesús Navas e Lucas Ocampos.
E proprio da quel lato di campo si originava l’ennesima palla esterna messa in mezzo dal Siviglia e trasformata in autogol da un intervento di Mancini. Dopo il pareggio spagnolo, in pratica, non si è più giocato, fra continue interruzioni, sostituzioni, proteste delle panchine e con l’arbitro Anthony Taylor che aveva chiaramente perso le redini dell’incontro.
Si arriva così, nient’affatto velocemente, ai calci di rigore che premiano la squadra di Mendilibar. Per il tecnico basco un successo che conferma il buon lavoro fatto con un Siviglia preso in corso di stagione sull’orlo del baratro e portato fino a questo trionfo europeo che, fra l’altro, significa anche qualificazione alla prossima Champions League. Mendilibar ha cambiato volto alla squadra dandole più verticalità, con un gioco più diretto ma più efficace.
Per Mourinho invece Budapest ha significato la sua prima sconfitta in una finale europea fra quelle disputate in carriera in Champions o Europa League. La Roma poteva fare di più? Difficile dirlo. Forse far tirare i primi due rigori a Mancini e Ibañez poteva essere vitato. A parte questo, la partita si era messa su binari favorevoli dopo il gol del vantaggio di Dybala ma i giallorossi, dopo l’uscita dell’argentino (che ha fatto un mezzo miracolo per esserci) si sono praticamente spenti. Sono venuti fuori i limiti qualitativi e di profondità di una rosa che, soprattutto in attacco, manca di giocatori per questi palcoscenici.
Se a questo si aggiunge la prestazione opaca di un leader tecnico come Pellegrini si capisce come la Roma fosse in difficoltà per giocare una partita alla pari con un avversario di maggior caratura (ma anche questo è da discutere). Mourinho ha provato a far virare la partita sul clinale del non gioco, ma il pareggio del Siviglia è arrivato troppo presto a scombinare i piani del portoghese.
Alla fine quindi come giudicare la stagione di una Roma che, sul finire del campionato, ha fatto all-in sull’Europa League, senza però riuscire a portarla a casa? Su Il Terzo Uomo abbiamo provato a dare una risposta a questo quesito. E voi, cosa ne pensate?
Adieu Marseille
«Lavorare all’OM è come lavorare 2-3 anni in un altro club». Questa dichiarazione, rilasciata da Igor Tudor nel giorno dell’annuncio del suo addio ufficiale al Marsiglia, rende bene l’idea della difficoltà di lavorare in un ambiente molto caldo ed esigente come quello marsigliese e per un club che, dopo il triennio con Rudi Garcia alla guida (2016-2019) ha visto succedersi in panchina André Villas-Boas, Jorge Sampaoli e ora Tudor, senza riuscire a trovare una continuità tecnica.
Come valutare la stagione del croato a Marsiglia? L’inizio è stato difficile, con parte dei leader della squadra (Gerson, Dimitri Payet e Mattéo Guendouzi) che fin da subito hanno mal tollerato la metodologia di allenamento ad alta intensità instaurata dall’ex allenatore del Verona.
Il clima teso fin dall’inizio ha addirittura fatto pensare all’ipotesi di un esonero prima ancora della partenza della stagione di Ligue 1. L’amichevole estiva contro il Milan (0-2), ultima della preseason e i fischi del Vélodrome sembravano l’ultima goccia prima del licenziamento.
È stato invece in quel momento che la dirigenza marsigliese, nella figura di Pablo Longoria, si è schierata dalla parte del tecnico (fra l’altro scelto proprio dal dirigente spagnolo) col risultato, se non di ricomporre le fratture interne (che sono rimaste) almeno di far mettere tutto da parte in nome della causa comune.
Così, la stagione è partita e si è poi sviluppata con una serie di alti e bassi, come la pesante sconfitta contro il Tottenham prima della sosta mondiale, che finiva per concludere la stagione europea dell’OM o come la vittoria sul Psg in coppa di Francia lo scorso 8 febbraio, venuta con un manifesto del calcio di Tudor, fatto di pressione forte in avanti, difesa uno contro uno e ricerca della verticalità.
Negli ultimi tempi però altre due battute d’arresto sono arrivate a complicare la stagione del Marsiglia. Si tratta della clamorosa eliminazione subita ad opera dell’Annecy (club di Ligue 2) in coppa di Francia e, soprattutto, della sconfitta in campionato contro il Lens all’inizio di maggio che ha consegnato alla squadra di Franck Haise il secondo posto in classifica e la conseguente qualificazione alla prossima Champions League. Di contro il Marsiglia sarà costretto ad affrontare il turno preliminare per sperare di tornare nella massima competizione europea per club.
Che dire quindi? So Foot si è espresso per un giudizio tutto sommato favorevole sull’annata di Tudor. Una valutazione che non convince del tutto. Come ricordato da L'Équipe, quest’anno il Marsiglia non ha conquistato nemmeno un punto in campionato nei quattro confronti avuti con le prime due della classe (Psg e Lens) e questo è costato quella qualificazione diretta alla Champions che invece era alla portata di una rosa come quella dell’OM.
Marcelino
A fine stagione comincia il tradizionale valzer delle panchine (termine abusato ma che rende bene l’idea). Quest’anno saranno molte le grandi che cambieranno guida tecnica. In attesa di conferme, due panchine che cambieranno sicuramente padrone sono il Napoli e il già citato Olympique Marsiglia.
Per entrambi i club, fra i nomi usciti, è circolato anche quello di Marcelino García Toral. Il tecnico asturiano (che avrebbe già rifiutato una offerta del Napoli) ha allenato l’anno scorso l’Athletic Bilbao.
Dal punto di vista tattico stiamo parlando di un allenatore che, pur avendo mostrato diverse strutture durante le recenti esperienze con i baschi e al Villareal, sembra trovarsi maggiormente a proprio agio quando può difendere con un classico 4-4-2 a zona molto sacchiano. Non a caso il vate di Fusignano è uno dei modelli ispiratori di Marcelino.
Difensivamente Marcelino è molto aggressivo contro avversari che costruiscono dal basso. Un atteggiamento efficace, tanto è vero che la Build-up Disruption (metrica Soccerment che quantifica l’efficacia del pressing sul possesso avversario) risultava positiva (+2.19%).
Questo tipo di azione veniva esercitata accompagnando la prima linea di pressione, per evitare che si creassero fratture e zone libere oltre i primi difendenti. In caso di conquista della palla Marcelino vuole che vengano innescate rapide transizioni per andare in porta nel minor tempo possibile.
In zone più vicine alla propria porta la difesa di Marcelino è invece più posizionale, volta a chiudere i corridoi centrali del campo. Sia che decida di andare forte sull’avversario sia che difenda con un blocco medio, l’orientamento difensivo è sulla palla.
In fase di possesso il tecnico spagnolo porta molti uomini oltre la linea della palla, cercando di sfruttare gli attacchi alla profondità degli avanti in una struttura offensiva posizionale che può diventare 4-2-3-1/4-2-1-3. In generale comunque la fase di possesso dipende molto da quella di non possesso.
Sarebbe interessante vedere Marcelino (in passato vicino anche all’Inter) in Italia e osservare come verrebbe accolto dai media. Se, cioè, si ripeterebbe l’effetto Ralf Ragnick quando il tedesco venne accostato al Milan, spaventando la stampa mainstream.