La Croazia non finisce mai
Ancora una volta sul podio mondiale. Cosa c'è dietro il successo della nazionale dalla maglia a scacchi.
La sconfitta in semifinale subita ad opera dell’Argentina non diminuisce la portata del campionato del mondo effettuato dalla Croazia, arrivata per la terza volta dal 1998 (anno della sua prima partecipazione al torneo) al penultimo atto della manifestazione.
La conquista del terzo posto finale in Qatar chiude un’era per molti esponenti della seconda generazione d’oro del Paese balcanico, dopo quella dei Boban, Šuker e Prosinečki che ottenne lo stesso piazzamento sul gradino più basso del podio in Francia.
Giocatori come Luka Modrić (37 anni), Ivan Perišić (34 a febbraio) o Dejan Lovren (33) potrebbero forse arrivare fino ad Euro 2024, ma difficilmente saranno ancora parte fondamentale della rosa che cercherà la qualificazione ai prossimi mondiali nordamericani del 2026.
Del centrocampo d’oro che ha guidato la nazionale dalla maglia a scacchi negli ultimi anni rimarranno comunque Marcelo Brozović (30) e Mateo Kovačić (28) e non è poco. E, dietro questi veterani, c’è una nidiata di giovani talenti guidati dal difensore centrale Joško Gvardiol (20), una delle rivelazioni del mondiale qatariota.
Per un Paese di quattro milioni di abitanti è un grande risultato. Si tratta di un vero miracolo sportivo per una nazione che eccelle in molti altri sport, a partire dalla pallanuoto. Non a caso, dal punto di vista calcistico si è parlato dell’Uruguay d’Europa, per fare un paragone con lo Stato sudamericano, attorniato dai due giganti Brasile e Argentina ma sempre in grado di competere con loro sia a livello continentale che mondiale.
‹‹Siamo una nazione di talento›› dice Nenad Bjelica. ‹‹Abbiamo tanti giocatori, sciatori, sportivi di livello internazionale. Abbiamo un carattere forte, siamo una nazione orgogliosa…siamo forti negli sport di squadra››.
Ci racconta Aleksandar Holiga che ‹‹in Croazia c’è un forte tradizione di quello che noi chiamiamo “calcio piccolo” e che basicamente è un 6c6 (5 più il portiere) giocato su un campo delle dimensioni di quello da pallamano. È diverso dal futsal perché c’è un giocatore in più per squadra e il focus direi che è orientato sulla tecnica, il dribbling e il passaggio. Tutti lo giocano nell’infanzia, alcuni continuano dopo e così ogni ragazzo avrà giocato a questo gioco (o qualcosa di simile) prima di entrare in una vera squadra di club››.
Racconta Ivan Javorčić che in Croazia ‹‹i campi per giocare a calcio sono sempre pieni. Se ci passi verso mezzanotte le luci sono ancora accese››.
‹‹Giochiamo molto in strada e per questo produciamo tanti buoni giocatori, perché per strada si impara a giocare al calcio›› aggiunge Bjelica.
Che ruolo gioca la scuola in questo approccio sportivo? ‹‹Non penso che la scuola rivesta un ruolo particolare in questi risultati›› osserva Holiga. ‹‹Agli studenti viene richiesto di imparare le basi di diversi sport, ma questo è più per i voti. Direi che la scuola incoraggia la partecipazione ma nulla più di questo››.
Tornando al calcio, in realtà, la Croazia ha faticato a tenere lo stesso livello del 1998 nel periodo successivo a quel Mondiale, non riuscendo a qualificarsi per l’Europeo del 2000.
Ma le cose sono migliorate da quando la Dinamo Zagabria ha costruito una delle migliori accademie d’Europa, cominciando a produrre di nuovo calciatori di alto livello attingendo al bacino di talento che esiste nel Paese. Al lavoro della Dinamo va poi aggiunto quello dell’Hajduk Spalato (‹‹e anche dell’Osijek›› afferma Bjelica)
‹‹La scuola della Dinamo nell’ultimo decennio ha tirato fuori una serie incredibile di giocatori, con una percentuale di giocatori prodotti fra le migliori d’Europa›› mi dice Javorčić.
‹‹Spalato poi nello scorso anno aveva anche due allenatori in serie A, Ivan Jurić e Igor Tudor…è un dato incredibile se ci pensi, visto il numero di allenatori stranieri in Serie A e in Italia in generale [esiguo, n.d.r.]››.
Per Holiga però c’è altro oltre il lavoro di questi due settori giovanili. ‹‹Molti club hanno campi inadeguati, ci sono pochi allenatori qualificati, le accademie con strutture migliori sono sovraffollate perché il loro obiettivo primario è guadagnare i soldi delle iscrizioni da quanti più genitori possibile. Così inizialmente ai ragazzi non viene data la giusta attenzione. Molti giocatori croati hanno iniziato il loro sviluppo in club più piccoli e più poveri, o si sono mossi da quelli più grandi a quelli più piccoli, ma nell’ultima parte del loro sviluppo quasi tutti i giocatori di talento sono nei grandi club (di nuovo o per la prima volta). Così molti hanno giocato in condizioni difficili ad un certo punto del loro sviluppo e alcuni ritengono che questo potrebbe essere un vantaggio, perché sono diventati abili ad adattarsi alle difficoltà››.
‹‹Tuttavia, ritengo che questo sistema (o la sua mancanza) porti anche molti ad arrendersi lungo il percorso. Nel frattempo, probabilmente tutti questi ragazzi continuano a giocare il “calcio piccolo” nei playground con gli amici anche nel periodo in cui si trovano già nei club››.
Il risultato è stato di tornare a riempire l’Europa di ottimi giocatori vatreni e, contestualmente, ricostruire una nazionale competitiva che, tolto il già citato campionato europeo di inizio millennio ed il Mondiale del 2010 è sempre stata presente in tutte le competizioni più importanti.
Il livello qualitativo del calcio croato lo si è potuto osservare anche in Qatar dove, come detto, soltanto l’Argentina ha avuto la meglio su Modrić e compagni. E questo contestando ai croati il controllo del centrocampo.
‹‹Avevano quattro centrocampisti ed hanno chiuso il centro›› ha detto nel post-partita Zlatko Dalić. E, in effetti, Lionel Scaloni ha preparato un piano strategico funzionale, schierando l’albiceleste 4-1-3-2 con Leandro Paredes dietro Alexis MacAllister, Enzo Fernández e Rodrigo De Paul. Questi ultimi tre giocavano molto stretti, dentro al campo, contrapponendosi efficacemente a Modrić, Brozović e Kovačić.
Modrić è stato così limitato, registrando una passing accuracy dell’86% con solo cinque passaggi nel terzo offensivo di campo, il dato più basso della sua coppa del mondo. Se consideriamo i 93 tocchi totali effettuati dal capitano, possiamo concludere che la Croazia è riuscita a raggiungere Modrić e che quest’ultimo si è associato al resto dei compagni, ma non in modo tale da costituire un pericolo per l’Argentina. I croati hanno dunque mantenuto un possesso sterile.
Quando poi, poco dopo l’inizio della ripresa, Dalić ha tolto Brozović per passare ad un 4-2-4 con gli inserimenti di Mislav Oršić e Bruno Petković era chiaro che il centrocampo che aveva eliminato il Brasile non stava riuscendo a ripetere l’impresa.
L’uscita dal campo dopo ottantuno minuti, per lasciar spazio a Lovro Majer, ha rappresentato bene sia l’impotenza di Modrić davanti ai sudamericani sia un cambio generazionale.
Questo del Qatar dovrebbe essere stato l’ultimo mondiale per giocatori che hanno segnato la decade come i vari Lionel Messi, Cristiano Ronaldo, Luis Suárez e Thomas Müller. A questi va aggiunto senz’altro Modrić.
La Croazia però non finisce con il Pallone d’oro del 2018, così come non era finita dopo il 1998, dimostrando di non essere una generazione straordinaria e basta, ma qualcosa di più solido e duraturo.
‹‹Fra quelli che sono stati in Qatar con la squadra ma hanno avuto poco spazio mi aspetto grandi cose da Luka Sučić e Josip Šutalo›› dice Holiga. ‹‹Anche Ivo Grbić potrebbe diventare un grande portiere se riuscirà a trovare una squadra dove giocare con continuità. Per me ci sono diversi giovani che stanno venendo fuori e quattro di loro meritano particolare attenzione: Martin Baturina, Dion Drena Beljo, Stipe Biuk e Lukas Kačavenda. Pensavo che anche Mario Vušković potesse esplodere, ma sfortunatamente è risultato positivo ad un test anti-doping e quindi sta affrontando una lunga sospensione. Comunque suo fratello, Luka Vušković, è probabilmente il difensore croato con le maggiori potenzialità, tenendo presente anche Gvardiol. Luka non ha ancora 16 anni ma domina fra i ragazzi di 18 e 19. Ha tutto per far bene e spero che saprà scegliere con saggiamente la propria strada perché potrebbe diventare un difensore di livello mondiale››.
Non solo giocatori. I già citati Jurić, Tudor, Dalić e Javorčić, Bjelica…si può parlare di una scuola croata di allenatori?
Secondo Holiga ‹‹tutti questi allenatori si sono più o meno costruiti da soli. Direi che nessuno di questi è un prodotto di una particolare scuola allenatori. Tomislav Ivić e Branko Zebec sono stati gli ultimi tecnici croati di qualche impatto, diversi decenni fa››.
Per Javorčić ‹‹c’è un vissuto all’estero per queste persone: Jurić conosce molto bene l’Italia e anche Tudor e poi ha già allenato in Croazia, in Turchia…io sono qua da venticinque anni. C’è un mix di temperamento, cultura e vissuto che ci rende competitivi, come succede con i tecnici portoghesi››.
‹‹Anche dalle altre zone dei Balcani sono usciti allenatori di qualità. In Italia abbiamo avuto per tanti anni Siniša Mihajlović e ora c’è Dejan Stanković alla Sampdoria. Noi croati facciamo molto lavoro sul campo e poi siamo andati in giro per l’Europa molto giovani come giocatori, lavorando con grandi allenatori e questo ci ha aiutato a diventare poi dei buoni tecnici›› conclude Bjelica.
Alla fine, dopo la dissoluzione della Jugoslavia, sembrava che l’eredità tecnica di quella squadra dovesse essere portata avanti dalla Serbia.
Invece in questo momento la compagine più talentuosa dei Balcani è quella croata. Anche se, come dice Javorčić, ‹‹la Serbia ha una generazione molto talentuosa e nei prossimi tornei potrebbe essere più pericolosa e più efficace››.