Non passa lo straniero
In Italia e Francia certa stampa ha un problema con gli allenatori che vengono da fuori.
Dopo il pareggio casalingo contro il Reims (1-1) dello scorso 2 gennaio, il tecnico del Lille, l’ex romanista Paulo Fonseca, si è presentato alla stampa criticando l’atteggiamento tenuto dai tifosi dei Dogues che hanno fischiato la squadra.
Non si è trattato di una critica alla qualità del gioco espresso, quanto invece di una protesta verso il modello del tecnico portoghese. Infatti i fischi della curva dei padroni di casa si sono diretti contro l’utilizzo del portiere Lucas Chevalier come elemento in più della fase di possesso del Lille e come costruttore aggiunto da coinvolgere per superare il pressing avversario.
‹‹Se i tifosi non sono contenti del nostro modo di giocare›› ha detto Fonseca ‹‹vadano a parlare con il presidente. Me ne posso andare».
Anche se in seguito il tecnico ha voluto calmare le acque, le dichiarazioni del post Reims rappresentano il legittimo tentativo di Fonseca di difendere il suo calcio.
Al di là del fatto se questa sorta di contestazione sia davvero diretta contro un preciso modello di gioco o se, invece, sia da ascriversi alla protesta per un piazzamento in classifica che si pensava dovesse essere più alto (anche se giova ricordare che il Lille viene da un ridimensionamento e comunque occupa attualmente una buonissima settima posizione, a 6 punti dal Marsiglia terzo). Di certo, le critiche rivolte a Fonseca ricordano quelle ricevute sempre dal portoghese durante la sua esperienza romana.
Quello che sembra è che Italia e Francia siano in qualche modo accomunate dall’essere particolarmente critiche nei confronti dei tecnici stranieri.
Se guardiamo ai nomi degli allenatori che occupano le venti panchine della Ligue 1 in questo momento, di stranieri ci sono solo il già citato Fonseca, lo svizzero Lucien Favre (Nizza), il croato Igor Tudor (Marsiglia) e i belgi Philippe Clement (Monaco) e William Still (proprio a Reims), quest’ultimo tecnico che allena (e bene!) pur senza avere il patentino Uefa Pro. Sono cinque su venti: il 25%.
In Italia i tecnici stranieri sono ancora meno: tre o quattro, a seconda di come si voglia considerare il naturalizzato Thiago Motta, da aggiungere eventualmente a José Mourinho, Dejan Stanković e Ivan Jurić.
Tutti ricordiamo le critiche piovute sulla dirigenza del Milan quando la società rossonera aveva pensato a Ralf Rangnick come nuovo tecnico, prima della decisione di confermare Stefano Pioli. Una decisione rivelatasi vincente, con lo scudetto tornato sulla sponda rossonera di Milano grazie allo splendido lavoro fatto dal tecnico emiliano, ma che non deve far dimenticare quel misto di diffidenza e complesso di superiorità col quale venne accolta la notizia della trattativa fra la dirigenza rossonera ed il tedesco.
Le difficoltà incontrate successivamente nel Manchester United dall’artefice tecnico del progetto Red Bull non sono state analizzate alla luce di un contesto disfunzionale e poco adatto al gioco rock ‘n roll predicato da Rangnick, quanto invece utilizzate a pretesto per continuare a inveire acriticamente verso il suo modello di gioco. Poco o nulla è stato però detto quando il sessantaquattrenne di Backnang ha preso in mano la nazionale austriaca facendo buonissime cose (mettendo sotto anche l’Italia nella recente amichevole di novembre).
Il fatto poi che Rangnick non abbia alle spalle un passato da calciatore professionista non ha fatto altro che aumentare l’idiosincrasia nei suoi confronti, la stessa che ha colpito in epoche diverse allenatori italianissimi come Arrigo Sacchi e Maurizio Sarri.
E come dimenticare l’accoglienza che venne riservata a Luis Enrique a Roma e a Frank de Boer a Milano, sponda interista? Dell’avventura dell’asturiano nella capitale e del suo rapporto con l’ambiente romano abbiamo scritto qui.
Per quanto riguarda invece l’olandese, è vero che la sua esperienza nerazzurra è risultata alla fine fallimentare (e nemmeno le successive con Crystal Palace, Atlanta United e nazionale olandese sono state brillanti), ma è altrettanto evidente come l’ex Ajax, pur forte di quattro scudetti consecutivi conquistati in Olanda, venne accolto come una sorta di paria, con critiche prevenute e al limite della denigrazione.
In entrambi i casi, a Roma come a Milano, nessuno si è premurato di cercare di capire quelle che volevano essere delle rivoluzioni culturali prima che tattiche. Si è invece aprioristicamente partiti dall’idea che, in quanto tecnici stranieri, sia Luis Enrique che de Boer sarebbero stati inadatti al calcio italiano.
In un calcio ed in un mondo anche mediaticamente sempre più interconnesso, alcuni opinionisti sono ancora restii ad accettare l’idea che ci siano altre scuole ed altre idee oltre a quelle espresse dal proprio Paese. Soprattutto, sembra che manchi la volontà di studiare e aggiornarsi per conoscere nuovi tecnici e modi diversi di pensare calcio quando invece proprio studio e aggiornamento dovrebbe essere pane quotidiano per chi vuole veicolare opinioni agli altri.
Tornando ai tecnici francesi, è di poco tempo fa la notizia del rinnovo di Didier Deschamps come selezionatore della nazionale francese.
Sulla questione torneremo magari in un altro momento. Qui invece interessa un altro aspetto legato a questo rinnovo: che fine farà Zinedine Zidane?
Stanno già circolando diverse ipotesi (come quella che lo vedrebbe sulla panchina del Brasile) mentre resta in piedi l’opzione Juve per un eventuale dopo Allegri. Un ritorno in Italia dell’ex bianconero, stavolta come allenatore, sarebbe certamente interessante. In quel caso basterebbero le Champions vinte alla guida del Real Madrid per evitargli quelle critiche prevenute riservate invece ad altri tecnici in passato arrivati (o in procinto di farlo) da oltralpe?