
E così, è finalmente partito il torneo più discusso dell’anno, la Coppa del Mondo per club organizzata dalla FIFA in contrapposizione alla Champions (inutile girarci intorno). Uno dei fattori più interessanti da valutare (nel breve periodo del torneo ma anche sul lungo periodo della prossima stagione) è certamente quello relativo al dispendio energetico.
Quando Psg e Atlético Madrid sono scese in campo a Pasadena alle 12 locali in una temperatura vicina ai 30°, la memoria è per forza di cose andata alla finale dei campionati Mondiali di Usa 94, giocata nello stesso stadio alle 12.30 del 17 luglio di quell’anno da Italia e Brasile.
Vero è che all’epoca non esisteva il cooling break né ovviamente la pratica di utilizzare asciugamani bagnati per abbassare la temperatura corporea dei giocatori durante questi intervalli.
C’è anche da aggiungere come, a livello di pubblico presente, il ritorno è stato importante, con 60.927 spettatori presenti per vedere Lionel Messi e l’Inter Miami e con il quasi tutto esaurito al Rose Bowl per vedere Psg e Atlético. Insomma, il rischio di disinteresse sembra essere stato scongiurato, nonostante le sfide tra Porto e Palmeiras (a New York) e fra Seattle Sounders e Botafogo (a Seattle) abbiano riempito solo metà degli stadi disponibili, mentre appena 22.137 hanno presenziato a Chelsea - Los Angeles FC. La media spettatori nelle prime venti partite, secondo quanto riportato dal Guardian, è stata di 35.525.
Un dato comunque significativo, considerato il livello delle partite in programma, che fa propendere per un giudizio complessivamente positivo. E questo nonostante The Athletic e lo stesso Guardian abbiano pubblicato alcuni articoli per criticare la Coppa e la sua organizzazione.
La partenza quindi è stata buona. Perché la competizione prenda ulteriormente piede sarà però necessario evitare partite come quella che ha visto il Bayern Monaco rifilare dieci reti all’Auckland City. Togliendo qualche squadra materasso per inserire un paio di europee in più potrebbe essere la manovra decisiva per lanciare definitivamente il torneo.
Nel frattempo, vediamo alcuni spunti prodotti da questa prima settimana del torneo.
Psg
I campioni d’Europa, dopo aver travolto l’Inter in finale di Champions, si sono ripetuti nella loro gara d’esordio al torneo americano contro l’Atlético. E lo hanno fatto con la stessa ricetta messa in evidenza contro i nerazzurri all'Allianz Arena di Monaco di Baviera, vale a dire con movimento e pressing. Le continue rotazioni esterne dei francesi hanno infatti mandato in confusione il sistema difensivo dell’Atleti, organizzato da Diego Simeone in un 4-4-2 con blocco basso.
Non soltanto il Psg è riuscito e penetrare fra le maglie della difesa colchonera, ma è anche riuscito a difendere bene grazie alla pressione in avanti e alla stessa gestione del pallone, che ha permesso ai transalpini di riposare con la palla e di mantenere il controllo sulla gara. Certo, se Antoine Griezmann fosse riuscito a pareggiare nell’occasione avuta sullo 0-1, forse la partita avrebbe potuto prendere una piega diversa. Invece il calciatore dell’Atleti ha sbagliato e, sul contropiede, il Psg ha trovato la rete del raddoppio. La squadra di Luis Enrique non ha dunque pagato l’assenza in attacco di Ousmane Dembélé, sostituito da Gonçalo Ramos.
A questo esordio convincente ha fatto però seguito la sconfitta subita dai francesi ad opera del Botafogo.
In questa seconda uscita nella competizione Luis Enrique ha fatto riposare quattro titolari (João Neves, Fabián Ruiz Marquinhos e Nuno Mendes), confermando Gonçalo Ramos al centro dell’attacco (al posto dell’infortunato Dembélé) e schierando a centrocampo i giovani Senny Mayulu e Warren Zaïre-Emery accanto a Vitinha.
Il Psg ha tenuto il controllo della gara ma non è riuscito a farsi particolarmente pericoloso in zona di finalizzazione, con una manovra più lenta rispetto a quella messa in mostra all’esordio con l’Atleti.
Una situazione che lasciava gioco facile alla fase difensiva brasiliana, col tecnico Renato Paiva che ha preparato bene la partita, creando le premesse per agire di rimessa. L’attacco del Psg è migliorato nella ripresa con gli innesti di Bradley Barcola, Mendes, Ruiz e Neves, ma non abbastanza da giungere al pareggio.
Alla fine lo stesso Luis Enrique ha lodato la prestazione del Botafogo, descrivendo la formazione brasiliana come «la squadra che ha difeso meglio contro di noi questa stagione».
Siamo uomini duri e siamo cowboy
A proposito del Botafogo, le scene di giubilo dei suoi tifosi sulla spiaggia di Copacabana dopo che il Fogão ha battuto i campioni d’Europa potrebbero aver sorpreso alcuni.
Eppure, l’esultanza dei sostenitori della squadra di Rio de Janeiro si aggiunge alla pacifica invasione di Miami Beach da parte dei fans del Boca Juniors o di Times Square da parte di quelli del Palmeiras per rendere evidente una certezza: questa Coppa del Mondo per club, sminuita o vista al più come un necessario fastidio (necessario in quanto foriero di fiumi di denaro) da parte della stampa europea viene presa molto sul serio da squadre e media degli altri Paesi, a partire da quelli che fanno parte della CONMEBOL.
Per le compagini sudamericane la competizione è l’occasione per dimostrare al mondo di non essere inferiori alle ricche formazioni europee, oltre che rappresentare un trampolino di lancio per quei giocatori che aspirano ad andare a giocare nei campionati del Vecchio Continente.
Anche se nelle ultime undici edizioni di quella che un tempo fu la Coppa Intercontinentale si sono avute solo vittorie di squadre della UEFA, la speranza delle rappresentative latinoamericane è di riuscire a interrompere questo monopolio.
Andare avanti nella competizione significherebbe poi per queste formazioni guadagnare molto denaro, utile se non per trattenere qualche talento (troppo lucrative le offerte europee) almeno per marcare ulteriormente le distanze col resto dei club del loro continente.
Al di là di questo, la vittoria del Botafogo ha significato una bella rivincita per il tycoon americano John Textor, proprietario del club carioca.
Textor infatti nel recente passato ha avuto più di un problema (eufemismo) con Nasser Al-Khelaïfi, presidente del Paris Saint-Germain. Le critiche al modello Psg lo hanno portato a definire Al-Khelaifi ‹‹un bullo››, ottenendo in cambio la reprimenda da parte del qatariota nonché l’accusa di essere un ‹‹cowboy››.
Logica quindi la controreplica di Textor dopo questa affermazione della sua squadra: «il cowboy ha vinto».
Ora, è vero che Textor ha comunque diversi problemi ai quali far fronte (martedì dovrà recarsi in Francia presso Direzione nazionale di controllo e gestione della Lega per il caso dell’Olympique Lione, retrocesso a titolo provvisorio lo scorso inverno per il debito di 175 milioni di euro) ma, nel frattempo, si è tolto questa soddisfazione.
¿Cuánto Cuesta?
Finalmente, dopo tante scelte conservative, una decisione coraggiosa da parte di uno dei nostri club di Serie A. Il Parma infatti ha deciso di affidare la conduzione tecnica della prima squadra allo spagnolo Carlos Cuesta, ex assistente di Mikel Arteta all’Arsenal.
In un mondo dove le novità sono spesso viste con sospetto (eufemismo), Cuesta rappresenta tutto ciò di cui solitamente il nostro universo calcistico italiano diffida: è giovane (a fine luglio compirà trent’anni, un’età alla quale di solito in Italia si ha ancora il patentino UEFA B e si allena verosimilmente una U17), straniero (iberico di Palma di Maiorca) e senza un passato da calciatore professionistico alle spalle.
La sua carriera, partendo da una solida base accademica (è infatti laureato in scienze sportive) è iniziata su Twitter contattando allenatori del settore giovanile dell’Atlético Madrid. Da lì è cominciato il suo lavoro nel settore giovanile colchonero, che lo ha portato poi a diventare allenatore della U14.
Successivamente Cuesta ha girato l’Europa per approfondire le sue conoscenze, finendo per entrare in contatto con Arteta. Prima però c’è stato anche un periodo di lavoro con la Juventus, sempre a livello giovanile.
Quando poi Arteta, in precedenza assistente di Pep Guardiola al City, ha iniziato ad assemblare il suo staff da capo allenatore con l’Arsenal, ecco che a Londra sono arrivati i vari Albert Stuivenberg. Steve Round. Inaki Cana (preparatore dei portieri) e poi Andreas Georgson (specialista delle palle inattive) e anche Cuesta.
Ora per il giovane spagnolo arriva la sfida come primo allenatore in Serie A. Per quanto riguarda la lingua, Cuesta parla in modo fluente lo spagnolo ma anche l’inglese e ha studiato italiano, francese e portoghese.
Tatticamente Cuesta sarà da scoprire. Legittimo pensare che cercherà di assemblare una squadra aderente al modello posizionale predicato dal suo mentore Arteta. Da quando ha preso in mano le redini dei Gunners (2019) l’allenatore basco ha implementato un’idea di gioco fondata sul controllo del pallone a partire da un’attenta fase di costruzione.
La chiave della squadra londinese è stata il centrocampo, sempre molto fluido grazie soprattutto al posizionamento di Martin Ødegaard. La fluidità in fase offensiva è stata un elemento fondamentale dell’Arsenal di quest’anno, unita alla ricerca di veloci transizioni a palla recuperata.
Il Parma di Cuesta potrebbe quindi ripartire da questa idea, dando ovviamente molta attenzione a quei calci piazzati che l’Arsenal, grazie al lavoro dello specialista Nicolas Jover, ha reso un’arma eccezionale nella stagione appena conclusa.