
Le dichiarazioni rilasciate a mezzo Tv da Lautaro Martínez dopo l’eliminazione subita dall’Inter nella Coppa del Mondo per club (ad opera del Fluminense) su certi ‹‹atteggiamenti non positivi›› verificatisi nel gruppo nerazzurro, probabilmente non fanno solo riferimento alla volontà di Hakan Çalhanoğlu di lasciare il club per tornare in Turchia.
E questo al di là della replica del centrocampista che, sui social, ha postato un messaggio risentito (‹‹non ho mai tradito questa maglia››). Messaggio che ha ricevuto anche un like da parte di Marcus Thuram. Secondo quanto riportato poi dal Corriere della Sera, anche Denzel Dumfries non avrebbe affatto gradito le parole di Lautaro. Come se non bastasse, a questa vicenda si aggiunge quella riguardante Benjamin Pavard.
Anche se si parla già di avvenuto chiarimento, quanto detto dal capitano interista sembra essere l’espressione di un certo malessere che, probabilmente, covava da tempo nello spogliatoio, forse da quando la squadra ha avuto sentore dell’addio di Simone Inzaghi. La decisione di quest’ultimo di trasferirsi armi e bagagli in Arabia Saudita ha in qualche modo rotto gli equilibri interni.
In questo senso il lavoro che attende Cristian Chivu nell’ormai prossimo ritiro precampionato non sarà soltanto di ordine tattico, quanto invece anche di carattere psicologico. Al tecnico rumeno spetterà infatti il compito di ricompattare un gruppo che, dopo la finale di Champions persa contro il Psg, pare essere entrato in un loop di difficile soluzione, se non proprio in una fase da fine ciclo.
Il presidente Beppe Marotta dovrà dunque aiutare il suo giovane allenatore procedendo ad una sorta di mini rivoluzione che faccia uscire da Milano quei giocatori che, per un motivo o per l’altro, sono arrivati al termine del loro percorso in nerazzurro. Tutto ciò tenendo ovviamente conto anche delle necessità di una squadra che ha assoluto bisogno di elementi in grado di saltare l’uomo e di riserve affidabili per affrontare una stagione che sarà, ancora una volta, lunga e impegnativa.
Sotto questo aspetto, l’aiuto che potranno dare Francesco Pio Esposito, Petar Sučić, Valentín Carboni e anche il neoacquisto Ange-Yoan Bonny sarà importante, a patto che questi giovani riescano immediatamente ad adattarsi al contesto.
Messi non basta
Non è stata sufficiente la presenza in campo di Lionel Messi, Luis Alberto Suárez e Sergio Busquets per colmare la distanza che esiste fra l’Inter Miami e il Psg. Anzi, i campioni d’Europa a un certo punto hanno anche tirato il freno a mano, altrimenti il risultato dell’ottavo di finale che ha visto i parigini confrontarsi con gli americani (un netto 4-0 per i transalpini) avrebbe potuto assumere i contorni di una goleada.
Anche se una partita non fa testo e nonostante la vittoria ottenuta dalla franchigia della Florida sul Porto nel girone, la sensazione lasciata dal confronto fra Psg e Inter Miami è stata quella di una netta inferiorità da parte americana. Una inferiorità che esplicita in qualche modo il livello tecnico dell’attuale MLS. Le compagini statunitensi tendono ad essere costruite intorno a top player a fine carriera importati dall’Europa, per i quali vengono spesi la maggior parte dei dollari disponibili. Intorno a loro vengono poi assemblati dei roster con quello che rimane a livello di talento sul suolo nordamericano. Non molto in verità, dato che i giocatori di maggior qualità varcano l’Atlantico per andare a giocare nei più remunerativi campionati europei.
Per quanto possano contare questo genere di classifiche, in base all’Opta Sport’s power rankings la squadra di Miami è la 151° del Mondo, dietro il Wrexham. E questo aiuta a farsi un’idea della competitività della formazione di Messi.
Almeno l’Inter Miami è arrivata alla fase a eliminazione diretta. Le altre due compagini a stelle e strisce, Seattle Sounders e LAFC, sono invece state eliminate prima, arrivando ultime nei rispettivi gironi.
La sorpresa
La vittoria dell’Al-Hilal sul Manchester City negli ottavi della Coppa del Mondo per club è sicuramente la storia della settimana. La partita è stata è stata definita caotica e il termine racconta bene l’andamento di una gara che è stata decisa da un gol del brasiliano Marcos Leonardo nei tempi supplementari.
Partite del genere, senza controllo, sono spesso risultate indigeste al City di Pep Guardiola. Detto questo e pur riconoscendo come i sauditi fossero sfavoriti alla vigilia, la vittoria degli uomini di Simone Inzaghi non è la storia di Davide che supera Golia. Stiamo infatti parlando pur sempre di una squadra che, nell’undici inziale, annoverava giocatori come Kalidou Koulibaly, João Cancelo, Renan Lodi, Rúben Neves, Sergej Milinković-Savić e Malcom, oltre al già menzionato Marcos Leonardo. Tutti elementi che, anche in questa fase della loro carriera, non sfigurerebbero da titolari in squadre partecipanti alla nuova Champions League.
A questo si aggiunga come il City abbia sprecato molto, anche a causa della prestazione del portiere marocchino Yassine Bounou.
Certo, questa produzione offensiva non può nascondere i classici problemi di questa stagione evidenziati dai Citizens nella gestione del contropiede avversario. Ma, lo ripetiamo, davanti a loro gli inglesi non avevano degli sprovveduti, quanto una formazione con otto titolari su undici che hanno un passato nei Top 5 campionati d’Europa. Una squadra la cui rosa è valutata 159.43 milioni d’euro, secondo quanto riportato da L'Équipe. Come detto quindi la narrazione della squadra più debole che batte una delle potenze del calcio mondiale non regge. Piuttosto, questa vittoria potrebbe portare maggior credibilità alla Saudi Pro League e, in generale, al calcio asiatico, mostrando come anche in quella parte del mondo esistoao realtà competitive. Certo, con fiumi di denaro messi a disposizione dal Saudi Arabia’s Public Investment Fund (PIF) per fare mercato.
Renato, Renato, Renato
Nonostante questa esaltante vittoria, il sogno dell’Al-Hilal di diventare una delle prime quattro squadre del torneo si è infranto sull’ennesima prestazione di rilievo del Fluminense. Forse ora anche dalle nostre parti si comincerà a parlare di Renato Gaúcho per quello che è (un ottimo allenatore) e non per quello che è stato (un ex giocatore e playboy con alle spalle la fallimentare stagione 1988-89 trascorsa in Italia con la maglia della Roma).
Per affrontare la compagine saudita Renato ha mandato in campo lo stesso undici che aveva permesso al Flu di superare l’Inter nel turno precedente, riproponendo anche la stessa strategia di gara. In questo senso Nonato si alzava sulla linea di Jhon Arias e Germán per andare a contrastare la costruzione avversaria mentre, in fase offensiva, il Tricolor Carioca iniziava sviluppando in una sorta di 3-3-4 con Samuel Xavier e Gabriel Fuentes ai lati dei riferimenti avanzati.
Il primo tempo è stato alquanto tattico, con entrambe le squadre che cercavano di rischiare poco, l’Al-Hila con la palla e il Fluminense senza. La rete di Matheus Martinelli al quarantesimo rende il secondo tempo più vivace.
Alla fine la squadra di Renato ha dimostrato ancora una volta grande solidità a livello difensivo, nonché grande capacità nello sfruttare le situazioni favorevoli. Martedì ad attendere il Flu ci sarà il Chelsea (che ha battuto il Palmeiras), ultimo ostacolo prima di una eventuale finale. Un risultato insperato alla vigilia della competizione.