Alla fine le polemiche su chi fra Xavi e Luis Enrique, col proprio gioco, rappresenti al meglio il DNA calcistico del Barça, ha lasciato spazio alla partita. E, in campo, almeno a livello di andata, la sfida se l’è aggiudicata l’attuale tecnico blaugrana.
Xavi Hernández ha avuto la meglio sul suo illustre predecessore (nonché anche suo ex allenatore) preparando un piano gara che ha di fatto limitato Kylian Mbappé, focalizzandosi in possesso sulle funzioni di Robert Lewandowski da riferimento più avanzato con Raphinha pronto ad attaccare in verticale.
Da parte sua Luis Enrique ha proposto in partenza il sul 4-3-3 che, in fase di sviluppo, diventava un tradizionale 3-2-5 posizionale.
L’elemento più interessante di questa ormai abituale struttura offensiva era dato dalle funzioni svolte da Marco Asensio. Tecnicamente un falso nueve, l’ex Real Madrid in realtà andava ad occuparsi della corsia mancina del Psg, probabilmente per sgravare Mbappé da eccessivi compiti difensivi.
Il problema era che, con la palla, la compagine transalpina non creava praticamente nulla mentre, in fase di non possesso, il marcamento individuale dei vari Fabián Ruiz, Vitinha e Kang-In Lee veniva spesso esposto dal movimento Sergi Roberto, İlkay Gündoğan e Frenkie de Jong.
Il risultato è stato quello di una partita nella quale il Psg ha perso il controllo, col risultato di aprire linee di passaggio pericolose ai giocatori di Xavi. Il vantaggio dei culés era conseguenza delle ormai note difficoltà del Psg di Lusi Enrique nel contenere le transizioni avversarie, in questo caso guidate dai già citati Lewandowski, Raphinha e da Lamine Yamal. L’incapacità dei parigini nel far schermo davanti alla propria ultime linea li rendeva particolarmente vulnerabili alle palle dirette che i catalani recapitavano verso i loro avanti.
Con l’impostazione iniziale gettata alle ortiche, nel secondo tempo Lucho decideva di cambiare la struttura della sua squadra, proponendo un sistema con gli attaccanti larghi e Ousmane Dembélé ad agire alle loro spalle dal no.10. Per questo motivo toglieva anche Asensio per mandare in campo Bradley Barcola.
Il posizionamento di Dembélé fra le linee (assistito da Lee Kang-In) dava fastidio al Barcellona. Così, i primi quindici minuti del secondo tempo davano ragione hai cambi operati da Luis Enrique. Il Psg infatti riusciva a ribaltare la situazione grazie alle reti messe a segno proprio da Dembélé e da Vitinha.
A questo punto però era Xavi a rispondere, togliendo Sergi Roberto e Lamine Yamal per inserire Pedri e Joao Félix. Era soprattutto il centrocampista spagnolo ad avere un impatto importante sulla partita, come si vedeva in occasione del gol del pareggio catalano realizzato da Raphinha.
A quel punto la partita rientrava in equilibrio, non soltanto a livello di punteggio ma anche come svolgimento. Senonché, un altro cambio di Xavi si rivelava decisivo per le sorti dell’incontro. Era infatti Andreas Christensen, uscito anche lui dalla panchina, a realizzare di testa il gol vittoria, sugli sviluppi di un’azione da calcio d’angolo che coglieva colpevolmente impreparato il Psg.
Il punteggio finale (2-3) premia dunque i blaugrana e dà loro un vantaggio in vista della gara di ritorno. Xavi ha vinto la battaglia tattica con Luis Enrique. Quest’ultimo avrà diverse cose sulle quali riflettere, a partire dalle scelte inziali fino alla prestazione di Gianluigi Donnarumma. Il portiere italiano, no esente da colpe sul gol vittoria di Christensen, si è fatto nuovamente notare per i suoi problemi in fase di distribuzione palla, come avvenuto nell’azione che ha poi generato la rete del 2-2 di Raphinha.
Infine c’è il Mbappé. Il francese è stato autore di una prova incolore: in base ai dati ESPN il no.7 del Psg ha perso 13 palloni, tirando soltanto tre volte, nessuna delle quali nello specchio della porta avversaria. Al ritorno in Spagna Luis Enrique avrà bisogno di trovare con più continuità il suo attaccante più forte, e sperare che Mbappé sia nella serata giusta.
L'estate in cui imparammo a volare
Lo scorso 12 aprile, nell’ambito del Pordenone Docs Fest, è stato per la prima volta trasmesso in Italia il documentario Copa 71,che narra le vicende del primo campionato del mondo di calcio femminile, un torneo ancora non riconosciuto dalla FIFA.
Le 6 squadre partecipanti (Messico Paese ospitante, Argentina, Danimarca, Francia, Inghilterra e Italia) furono protagoniste di una manifestazione che ebbe un grandissimo successo di pubblico ma che, fino ad oggi, era stata dimenticata.
Il documentario è quindi l’occasione giusta per ripercorrere, a distanza di più di cinquant’anni, quella incredibile e pioneristica avventura.
Il mercato degli scout
Parallelamente a quello dei calciatori e degli allenatori c’è un altro mercato che, sottotraccia, si sta muovendo in questi mesi e che dovrebbe essere tenuto sotto osservazione in vista della prossima stagione. Si tratta del mercato degli scout: analisti esperti in big data che, consigliando un acquisto e sconsigliandone un altro, possono fare la fortuna dei rispettivi club.
È di qualche tempo fa ad esempio la notizia dell’arrivo al Milan di Wes Beuvink, osservatore venticinquenne proveniente dagli olandesi del Groningen. Beuvink lavora a stretto contatto col capo degli osservatori rossoneri Geoffrey Moncada.
Da parte sua il Como, ambiziosa compagine di B che si sta giocando la promozione, ha annunciato l’ingaggio di Ian Torrance, ex capo scout del Southampton.
Fra i più gettonati in questo reparto ci sono anche due francesi, Damien Comolli e Loïc Désiré. Il primo, nativo di Béziers, già esperienze con Arsenal, Liverpool e Tottenham, è l’uomo a cui la RedBird ha affidato il progetto Tolosa fin dal 2020 (data di acquisto del club da parte del gruppo americano). I suoi successi sono evidenti, tanto è vero che Gerry Cardinale voleva trasferirlo al Milan.
Il quarantottenne Désiré è invece alla decima stagione allo Strasburgo. In Alsazia Désiré ha continuato a operare anche dopo la vendita della società al gruppo BlueCo. Già cercato in passato da Lione e Monaco, il responsabile del reclutamento (traduzione letterale del suo ruolo) dello Strasburgo sembra essere nel mirino del Lens.
Furia ceca
Qualche giorno fa è uscito un interessante articolo di The Athletic sulla crisi del calcio di club nei Paesi dell’Est Europa. In settimana, il pareggio ottenuto dal Viktoria Plzen (0-0) nella partita d’andata di Conference League contro la Fiorentina ha sancito la conquista del decimo posto del ranking Uefa da parte della Repubblica Ceca. Il che significa anche che i campioni di Scozia dell’anno prossimo dovranno giocare un turno di playoff in Champions League.
Un risultato importante per il calcio ceco, che nelle ultime stagioni ha espresso un buon livello con il già citato Plzen e, soprattutto, con Slavia e Sparta Praga.