Re Luciano
L'impatto del protagonista dello scudetto del Napoli nel calcio moderno e l'analisi del Bayer Leverkusen.
Lo scudetto del Napoli, il terzo nella storia del club partenopeo e il primo senza avere fra i protagonisti Diego Maradona, è stato anche (se non soprattutto) lo scudetto di Luciano Spalletti.
L’importanza del lavoro del tecnico toscano è ben visibile non solo nel traguardo finale raggiunto, che ha riportato nel Golfo il tricolore a distanza di trentadue anni dall’ultimo, ma anche nel gioco. Del mix fra posizionismo e relazionismo del Napoli 2022-23 avevamo già scritto qui.
In questa newsletter vogliamo invece soffermarci maggiormente sull’apporto dato da Spalletti ai singoli. Luciano migliora i giocatori. Pochi ad esempio si aspettavano questa estate un impatto così devastante come quello avuto da Khvicha Kvaratskhelia (giocatore arrivato a Napoli reduce da esperienze pregresse con Rubin Kazan e Dinamo Batumi) o da Kim Min-jae (coreano proveniente dal Fenerbahçe), entrambi adattatisi velocemente ad un calcio completamente diverso.
In non molti poi erano disposti a scommettere sull’evoluzione di Victor Osimhen, quest’anno nettamente cresciuto sia nel gioco aereo che in quello spalle alla porta. Nessuno probabilmente avrebbe immaginato un’annata come quella disputata da Stanislav Lobotka. Lo slovacco è infatti diventato uno dei migliori play a livello europeo, sfoderando prestazioni di altissimo livello non solo in campionato ma anche in Champions League.
Eppure, al netto di queste considerazioni, bisogna ricordare come non sia la prima volta che Spalletti incide in questo modo nello sviluppo di un calciatore, spesso cambiandolo di posizione e di funzioni rispetto al passato.
Non molto tempo fa, quando era ancora online il suo sito zonalmarket.net, l’allora blogger e ora giornalista di The Athletic Michael Cox aveva inserito la prima Roma di Spalletti fra le squadre tatticamente migliori della prima decade degli anni 2000.
Questa squadra era stata plasmata dall’uomo di Certaldo intorno a due idee rivoluzionarie: quella di Francesco Totti falso nueve e quella di Simone Perrotta falso 10.
Per quanto riguarda la prima, è stato proprio Spalletti il primo a riproporre in chiave moderna la soluzione del finto centravanti, prima anche di Pep Guardiola con Lionel Messi nel Barcellona del 2009.
Dietro Totti agiva Simone Perrotta. Fino ad allora mezzala o mediano, l’ex centrocampista di Chievo e Juventus ha svoltato in carriera quando Spalletti decise di schierarlo da numero 10 incursore posizionato alle spalle del capitano giallorosso. Una intuizione che fa non solo il bene di quella Roma ma anche dello stesso Perrotta, che a suon di prestazioni arriva a conquistarsi un posto per la spedizione vincente dell’Italia ai Mondiali del 2006.
Nel corso degli anni sono poi arrivate altre trovate tattiche di Spalletti. L’elenco è lungo: da Miralem Pjanić centrocampista centrale a Radja Nainggolan trequartista fino a Marcelo Brozović, altro elemento costruito da Spalletti davanti alla difesa. Luciano ha una predisposizione particolare per formare i play. Il primo fu David Pizarro, passato da indolente trequarti a metronomo di una bellissima Udinese, prima di spiccare il volo e passare poi per Milano (sponda nerazzurra), Roma e Firenze.
Il successo col Napoli premia quindi il lavoro di un allenatore che in carriera ha vinto meno di quanto avrebbe meritato (a livello di scudetti personali questo è il terzo anche per Spalletti dopo i due conquistati alla guida dello Zenit San Pietroburgo), ma che ha inciso molto sull’evoluzione del gioco negli anni Duemila, pur non avendo a disposizione corazzate o squadre veramente attrezzate per competere al vertice.
Una carriera lunga, che lo vede allenare ad alti livelli in pianta stabile dal 1995, con pochi bassi (all’inizio con Sampdoria e Venezia) e molti alti. Non è facile restare sulla breccia per vent’anni di seguito. Quanto altri tecnici possono dire di esserci riusciti?
Al di là di un titolo che rimarrà negli annali anche e soprattutto per il gioco espresso, la lezione di Spalletti è quella che conferma come l’età sia solo un fattore anagrafico. Quello che conta è l’aggiornamento costante. In questo, il sessantaquattrenne toscano è un paio di passi avanti a colleghi anagraficamente molto più giovani di lui.
Il Bayer di Xabi Alonso
Arrivato in Germania ad ottobre, con il club penultimo ed in lotta per non retrocedere, nel giro di pochi mesi Xabi Alonso ha cambiato le fortune del Leverkusen, portando il Bayer in corsa per una qualificazione alla prossima Champions e alle semifinali di Europa League.
Un lavoro eccellente quello dell’ex centrocampista spagnolo che, prima di guidare le aspirine, aveva avuto precedenti esperienze da allenatore soltanto nelle giovanili del Real Madrid e con la squadra B della Real Sociedad.
Proprio nei Paesi Baschi Alonso si è fatto notare, sia per i risultati conseguiti (portando la squadra in Segunda division dopo sessant’anni) sia per il gioco espresso. Tanto è vero che il Borussia Mönchengladbach si era mostrato interessato.
Tuttavia, molti hanno storto la bocca quando lo scorso autunno un club in difficoltà come il Leverkusen ha deciso di affidarsi ad un allenatore con un glorioso passato da calciatore alle spalle ma senza una vera esperienza alla guida di una squadra di massima serie.
La decisione presa dal direttore sportivo Simon Rolfes si è invece rivelata vincente. Fin da prima della sosta invernale la compagine diretta da Alonso ha mostrato degli evidenti progressi, culminati con una striscia di tre convincenti vittorie consecutive prima della sosta per i Mondiali del Qatar.
Uscito dalla pausa mondiale il Leverkusen non ha risentito affatto del riposo forzato, continuando a sciorinare prestazione di livello e a inanellare quei risultati che lo hanno condotto a ridosso della zona Champions.
Secondo Ábel Mészáros ad aiutare questa risalita sono stati anche ‹‹il recupero di Florian Wirtz e l’effetto positivo avuto dal buon Mondiale disputato su giocatori come Exequiel Palacios (campione con l’Argentina) e Piero Hincapie (Ecuador)››.
Ex giocatore di Real Sociedad, Liverpool, Real Madrid e Bayern, Xabi Alonso ha potuto lavorare con tecnici come Rafa Benitez, José Mourinho, Carlo Ancelotti e Pep Guardiola, senza dimenticare i commissari tecnici avuti in nazionale (Luis Aragones e Vicente Del Bosque).
Da come gioca il Bayer la maggior influenza sul credo tattico di Alonso sembra averla avuta Guardiola. Il Leverkusen è infatti una squadra estremamente posizionale, che pratica un calcio di possesso (51.8% la media in Bundesliga) volto all’occupazione di determinati spazi in fase offensiva.
Dal punto di vista del sistema base, mentre con il precedente tecnico (lo svizzero Gerardo Seoane) il Leverkusen si disponeva prevalentemente con un 4-4-2, con Alonso il Bayer favorisce un 3-4-2-1 che diventa poi 5-4-1 o 5-2-3 in non possesso.
La fase di costruzione può essere a quattro con due interni di centrocampo o con una linea di tre e un pivot davanti alla difesa. In questo caso, con i quinti che tendono ad alzarsi, diventano importanti i tre difensori centrali che devono essere in grado di veicolare i flussi di gioco della squadra tedesca.
‹‹Specialmente Edmond Tapsoba (che è sempre stato uno dei migliori centrali difensivi palla la piede) sembra rinato con Alonso›› aggiunge Mészáros.
Un problema della loro fase di possesso è però la mancanza di un no 6. ‹‹Un problema da lungo tempo›› dice Mészáros, ‹‹dovuto a come è stata costruita la squadra, che ha Robert Andrich come cattura palloni, Palacios e Namier Amiri (che sta facendo bene dopo il prestito al Genoa) da box-to-box, mentre in passato c’erano Aránguiz e Baumgartlinger››.
Ci sarebbe Kerem Demirbay (utilizzato come no.6 con profitto da Julian Nagelsmann in passato all’Hoffenheim) che però non ha performato a livello dei 32 milioni spesi dal Bayer per acquistarlo nel 2019. Secondo Mészáros ‹‹il club sarebbe contento se qualcuno lo comprasse questa estate (il suo contratto scade nel 2024)››.
Nonostante quanto detto finora, il possesso del pallone non è condizione necessaria affinché il Bayer controlli la partita. Questa situazione può infatti verificarsi anche senza palla dato che Alonso ha costruito una compagine efficace in transizione.
I misuratori del pressing ci danno proprio l’idea di una squadra che non fa dell’aggressione alta la sua arma principale in fase difensiva: l’indice PPDA è il penultimo della Bundesliga (15.32) mentre la Build-up Disruption, che quantifica l’efficacia del pressing sul possesso avversario, è negativa (-2.55%).
Elemento chiave nei contrattacchi del Bayer è il francese Moussa Diaby, uno dei componenti del tridente d’attacco e autore finora di 9 reti. Esattamente una in più delle 8 realizzate da Jeremie Frimpong, esterno destro di centrocampo.
Come si vede quindi il Leverkusen è in grado di essere pericoloso sia in contropiede che gestendo la palla.
In quest’ultimo aspetto diventa fondamentale il lavoro di Wirtz. Il wunderkind del calcio tedesco aveva visto la propria ascesa frenata dal grave infortunio (rottura del legamento crociato) che lo aveva tenuto fuori per più di un anno.
Una volta recuperato, il ventenne talento delle asprine è tornato elemento chiave nel gioco del Bayer. Agendo sulla linea degli attaccanti infatti Wirtz si muove spesso liberando spazi che vengono poi attaccati dai compagni.
Non sappiamo come finirà la stagione del Leverkusen, ma il lavoro svolto fin qui da Alonso non è passato inosservato se è vero che il tecnico spagnolo è diventato uno dei candidati alla panchina del Tottenham per il prossimo anno.