Gareth Southgate ha annunciato le proprie dimissioni dal ruolo di commissario tecnico dell’Inghilterra. Si chiude così uno dei periodi più controversi nella storia della nazionale dei Tre Leoni. E questo perché la legacy di Southgate può indifferentemente essere letta positivamente o negativamente. Un classico caso di bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, a seconda della prospettiva.
Da un lato infatti non è possibile negare come, sotto l’ex difensore di Crystal Palace, Aston Villa e Middlesbrough (57 presenze da giocare in nazionale) i Bianchi d’Inghilterra siano tornati ad essere una potenza calcistica, come non accadeva da anni. I risultati ottenuti da Southgate sono sotto gli occhi di tutti: semifinali ai Mondiali del 2018 (miglior risultato ottenuto nella competizione dagli Inglesi dall’epoca del Mondiale di Italia 90), quarti di finale in quelli del 2022, due finali consecutive agli Europei (2021 e 2024).
Traguardi importanti che però, come accennato poc’anzi, possono essere letti anche negativamente. In Qatar infatti l’Inghilterra ha conseguito un risultato peggiore rispetto a quello di quattro anni prima in Russia. Soprattutto, i britannici hanno perso due finali consecutive agli Europei. Se l’ultima, contro una Spagna superiore sia sulla carta che per quanto visto in campo, può in qualche modo essere digerita da tifosi e stampa, quella contro l’Italia nel torneo organizzato in casa richiederà ancora molto tempo prima di essere effettivamente metabolizzata.
Alla fine dunque Southgate ha fatto progredire un programma che nel 2011 (anno in cui entrò in carica nella FA per guidare lo sviluppo del calcio inglese) languiva dietro a quelli delle grandi potenze calcistiche e che vedeva la nazionale inglese reduce dall’umiliante 4-1 infertole dalla Germania ai Mondiali di Sudafrica 2010.
Il lavoro di Southgate dette immediatamente dei frutti, favorendo la nascita di una nuova generazione di talenti. Così, la decisione della FA di affidargli prima l’Under 21 (nel 2013) e, successivamente (2016) la nazionale maggiore (dopo i sessantasette giorni di regno di Sam Allardyce) è sembrata una conseguenza naturale per quanto fatto di buono.
Ora, 102 partite dopo, l’esperienza di Southgate come tecnico della nazionale si chiude con la sensazione di aver fatto trenta ma non trentuno. A questa gestione è mancato infatti l’acuto finale, l’alloro che avrebbe rimesso l’Inghilterra in un albo d’oro per la prima volta dal 1966. Invece, quando comincerà il Mondiale nordamericano del 2026, quell’unico trofeo conquistato dagli Inglesi sarà vecchio di sessant’anni.
Cosa si può imputare (se c’è qualcosa da imputare) a Southgate? Non certo il coraggio di prendere decisioni forti, visto che nel corso degli anni non ha esitato a lasciare a casa dalle varie liste dei convocati elementi di spicco (non ultimi Jack Grealish, Marcus Rashford e James Maddison).
Non si può contestare a Southgate nemmeno una mancanza di preparazione alle gare. La sua Inghilterra infatti è sempre entrata in campo con un piano gara ben preciso.
Le mancanze più clamorose sono dunque state due: l’eccessiva prudenza e la mancanza di rapidità nel rispondere con le sostituzioni a scenari che via via mutavano nel corso delle partite. Dal primo punto di vista l’Inghilterra è stata vittima di una eccesiva ricerca del controllo da parte del suo commissario tecnico. Southgate infatti ha sempre cercato di creare una struttura posizionale in possesso che avesse come primo obiettivo quello di non perdere palla per non esporsi alle transizioni avversarie. Così facendo però i Tre Leoni hanno perso una delle prerogative positive che caratterizzavano un tempo il loro modo di intendere il calcio, vale a dire la vocazione ad attaccare.
Anche se spesso, in passato, questa vocazione poteva assumere i tratti dell’ingenuità tattica, il fatto di voler essere propositivi rendeva le squadre britanniche difficili da arginare quando si proponevano in avanti. La nazionale targata Southgate invece è risultata troppo spesso passiva, poco coraggiosa, deteinata.
Durante questo europeo lo si è visto soprattutto quando gli Inglesi passavano in vantaggio. Una volta avanti nel punteggio infatti il loro atteggiamento diventava eccessivamente passivo e guardingo. Anche a ciò si deve la sconfitta subita contro l’Italia nella finale di Euro 2021, dopo che i Bianchi avevano aperto il risultato con la rete di Luke Shaw dopo pochi minuti. E, non a caso, le migliori espressioni di calcio offerte dai ragazzi di Southgate in Germania sono state nel primo tempo contro l’Olanda e per un quarto d’ora della finale contro la Spagna, entrambe in situazione di svantaggio.
L’altra questione come detto riguarda le sostituzioni. Southgate è stato alquanto recalcitrante ad effettuare cambi a gara in corso. In questo senso, le coraggiose decisioni del tecnico di sostituire Phil Foden e Harry Kane durante la semifinale contro gli olandesi quella di togliere nuovamente l’attaccante del Bayern in finale, hanno rappresentato una novità rispetto al resto della sua gestione.
Detto questo, probabilmente il lavoro di Southgate finirà per essere valutato solo (o quasi solo) positivamente più avanti negli anni. Molto dipenderà anche da cosa sarà in grado di fare il suo successore.
A tal proposito, è iniziata sulla stampa la girandola dei nomi dei possibili sostituiti dell’ormai ex manager della nazionale. Fra i nomi citati ci sono quelli di Mauricio Pochettino, Eddie Howe, Graham Potter. Sarebbe interessante se la FA riuscisse a ingaggiare Pep Guardiola (il suo contratto col City scade nel 2025). Oppure si potrebbe promuovere l’attuale tecnico dell’Under 21, Lee Carsley. Di certo, al nuovo allenatore verrà chiesto di fare meglio di Southgate. E questo significherà solo una cosa: vincere.
Avevo una casetta piccolina in Canada
‹‹I have no interest in the U.S. job›› (‹‹non ho interesse a diventare allenatore degli Usa››). Con queste parole, rilasciate nella conferenza stampa alla vigilia della partita contro l’Uruguay (valida per la conquista del terzo posto nella Copa América svoltasi proprio sul suolo statunitense) il commissario tecnico del Canada, Jesse Marsch, non ha soltanto sbattuto la porta in faccia alla Federcalcio Usa ma ha anche indirettamente svelato la verità attuale: allenare gli Stati Uniti non è una posizione ambita.
Il fatto poi che l’ex tecnico dei New York RedBulls abbia aggiunto che non avrà nessun interesse nell’assumere quel ruolo nemmeno in futuro, a meno di grandi cambiamenti nell’organizzazione, rende bene l’idea di come tecnici di primo piano (o saliti recentemente alla ribalta) non aspirino a lavorare sotto la U.S. Soccer.
Per questo, il tentativo fatto dal governo calcistico statunitense di approcciare Jürgen Klopp era destinato al fallimento ancor prima che venisse messo in atto.
Al di là di questioni legate all’accordo economico, il problema maggiore risiede nella direzione che il programma americano sta prendendo. Pochi giorni dopo l’eliminazione dalla Copa América, il direttore sportivo della USSF, Matt Crocker, ha deciso di licenziare Gregg Berhalter. Che il posto dell’ormai ex allenatore dello USMNT fosse a rischio, era cosa nota.
La domanda è se sia stata una decisione corretta quella di reinstallare Berhalter sulla panchina nordamericana dopo che era già stato allontanato in seguito alle polemiche seguite alla controversia iniziata a Qatar 2022 con l’allontanamento di Gio Reyna.
Detto questo, il problema maggiore intorno alla figura del prossimo tecnico della nazionale a stelle e strisce riguarda le aspettative che si sono create intorno al programma, anche a causa del fatto che Crocker ha alzato l’asticella.
Il dirigente gallese, arrivato alla guida della Federazione nel 2023 provenendo dal Southampton, fa parte di una estesa (fra tifosi e media) corrente di pensiero che ritiene quella attuale come la generazione più forte mai avuta dagli Stati Uniti nel calcio.
Questa convinzione ha finito per aumentare la pressione su tecnico e giocatori. Pressione già alta per il fatto che, nel 2026, gli Stati Uniti ospiteranno i prossimi Mondiali (insieme a Canada e Messico).
Ora, se è possibile sostenere che, sotto Berhalter, gli Stati Uniti abbiano fatto un passo indietro in Copa América, rispetto a quanto fatto vedere in Qatar, è difficile invece affermare che l’attuale generazione di giocatori americani sia in grado di far competere lo USMNT per traguardi importanti nel 2026. Ad oggi l’unico elemento di livello internazionale è Christian Pulisic. Oltre al milanista ci sono alcuni giocatori che potrebbero crescere da qui a due anni (Folarin Balogun, Tyler Adams, Yunus Musah, Timothy Weah…) ma è difficile prevedere se arriveranno ai livelli di Pulisic. E mancano appunto solo due anni al Mondiale.
La questione tempo sarà fondamentale anche nella ricerca del nuovo allenatore. Un nome straniero sarebbe intrigante, ma ci sarebbe da mettere in conto un periodo di adattamento per conoscere i giocatori e il mondo calcistico americano. Anche per questo forse Crocker dovrebbe puntare su un allenatore fluente in inglese, magari proprio un americano. Come è stato fatto notare dai media infatti lo USMNT ha ottenuto i migliori risultati della sua storia con allenatori di casa: Bruce Arena (quarti di finale nei Mondiali 2002), Bob Bradley (ottavi di finale nel 2010) e Berhalter.
Di conseguenza, a meno che la Federazione non riesca davvero a mettere sotto contratto Mauricio Pochettino, Patrick Vieira o un altro dei nomi con appeal usciti in questi giorni sui media, le scelte più logiche sembrano essere quelle che portano a Steve Cherundolo, Jim Curtin o Wilfried Nancy, tutti tecnici made in Usa.
Il tutto sempre che non si voglia sì tentare la via di un allenatore straniero, ma che comunque conosca il calcio americano. È questo, ad esempio, il caso di Matías Almeyda, che in passato ha mostrato buone cose nella lega nordamericana con i San Jose Earthquakes. Il suo modello di calcio, alla Marcelo Bielsa, porterebbe nuova energia e ed entusiasmo ai tifosi a stelle e strisce.
Crocker ha dichiarato di volere come prossimo tecnico un ‹‹serial winning coach››. Qualunque sia la sua scelta finale, la coppa del Mondo del 2026 sarà decisiva anche per il futuro del direttore sportivo. L’ex Saints non può sbagliare il nome del tecnico. In caso di risultati negativi al Mondiale infatti il prossimo a saltare potrebbe essere proprio Crocker.