È ufficiale l’arrivo di İlkay Gündoğan al Barcellona. Secondo quanto riportato da The Athletic il centrocampista ha rifiutato l’offerta di rinnovo del Manchester City (12 milioni netti per una stagione) preferendo invece le condizioni salariali offerte dai catalani, con i quali ha firmato un accordo per due anni con opzione sul terzo.
Dal punto di vista tattico, l’ultima versione del City (con John Stones e Rodri mediani in possesso) ha visto Guardiola utilizzare il tedesco da centrocampista offensivo. Un invasore buono sia per muovere palla in zona di rifinitura sia per andare direttamente alla conclusione.
Da questo punto di vista in Spagna arriva un complemento ideale per il Barça che Xavi ha plasmato. Il 3-2-2-3 con il quale i blaugrana sviluppano è infatti funzionale all’inserimento di Gündoğan come uno dei vertici alti del quadrilatero di metà campo.
Il contesto sarà però come al solito molto fluido, con il trentaduenne di Gelsenkirchen che potrebbe far valere le proprie qualità nel legare il gioco anche facendo parte dei due interni che andranno ad aiutare l’uscita palla da dietro.
La versatilità nelle funzioni che può svolgere rende quindi Gündoğan qualcosa di più di un giocatore che può supportare Pedri in zona di rifinitura.
Gündoğan non è un portatore di palla quanto invece più un incursore che può dettare i tempi di gioco fungendo anche da playmaker. Non a caso non è stato raro vederlo scendere per prendere palla dai difensori, almeno fino alla già citata mossa di Guardiola che ha visto il tecnico catalano portare Stones a metà campo in costruzione.
Le sue statistiche offensive sono state impressionanti quest’anno: 8 reti realizzate, 4.63 xG su azione, 37 occasioni create, 18 palle filtranti (secondo dietro al solo Kevin De Bruyne con 28).
In pratica, nel Barcellona di Xavi il tedesco potrà giocare da no.6, no.8 o no.10 a seconda della partita e della situazione.
I movimenti verticali a riempire l’area avversaria in area saranno potenzialmente un’arma offensiva in più da sfruttare da parte di uno Xavi che ama vedere i suoi centrocampisti attaccare l’ultima linea avversaria.
A tal proposito, la verticalità che il Manchester ha acquisito quest’anno non è dipesa solo dalle connessioni fra De Bruyne e Erling Haaland, ma anche dal ruolo sempre più prominente esercitato dall’ex mediano del Borussia Dortmund.
Come principi di gioco il Barcellona gioca lo stesso calcio del City, votato al controllo della partita tramite il mantenimento del possesso palla e l’occupazione razionale degli spazi. Questo dovrebbe agevolare la transizione per Gündoğan.
Ma l’aiuto che Gündoğan può portare ai blaugrana non si limita alla fase di possesso. In non possesso infatti stiamo parlando di un elemento in grado di produrre intercetti (20) e di azionare il contropressing (30 riaggressioni). Il guadagno del Barcellona è, di contro, una perdita per il City. Per sostituire uno dei suoi fedelissimi Guardiola è andato a guardare fra gli esuberi del Chelsea, pescando Mateo Kovačić.
Il croato è però un profilo diverso da Gündoğan. Rispetto la tedesco infatti l’ex Inter ha minore poliedricità, essendo essenzialmente una mezzala di possesso.
Kovačić è un portatore di palla che, aggiungendosi a Rodri e Jack Grealish, darà al City ulteriore qualità nella risalita del campo.
Con Rodri e Stones in mediana, Kovačić in possesso verrà spinto più avanti in zone dove potrebbe trovarsi spesso a giocare spalle alla porta. Sempre che Guardiola non decida di usarlo prevalentemente da no.6 al fianco di Rodri per sfruttarne le qualità in regia.
Brozović ai saluti
La cessione di Marcelo Brozović produce un vulnus non indifferente nel centrocampo dell’Inter. Sia nello scorso campionato (quello vinto dal Milan) che in quello appena concluso (col trionfo del Napoli) la compagine nerazzurra si è trovata a dover affrontare la pesante assenza del croato.
Dopo vari tentativi andati a vuoto e dopo le iniziali problematiche dell’esperimento con Hakan Çalhanoğlu davanti alla difesa, in questa stagione Simone Inzaghi ha trovato nel turco il rimpiazzo ideale del croato come play.
Tuttavia, l’ex milanista non ha le stesse caratteristiche di Brozović e questo ha avuto conseguenze nel modo di costruire e sviluppare dell’Inter.
Çalhanoğlu infatti è un giocatore più diretto rispetto al croato e la sua titolarità con le funzioni del no.77 ha resto l’Inter un po’ più verticale. Da parte sua invece Brozović esprime in modo più completo le caratteristiche del regista, avendo i tempi per dettare la velocità dell’azione offensiva e una migliore capacità di smarcarsi alle spalle della prima linea di pressione avversaria.
Non solo questo: Brozo infatti ha l’abilità di abbassarsi sulla prima linea costruttiva della sua squadra che, con lui in campo, è spesso diventata a quattro proprio con il croato che scendeva fra i centrali.
La stessa scelta di Inzaghi di alzare Francesco Acerbi in fase di costruzione è stata una soluzione che serviva anche a tamponare l’assenza del centrocampista croato, che in questa stagione ha messo insieme con l’Inter appena 40 presenze, tutte le competizioni comprese. La lettura degli spazi da occupare e la conoscenza dei tempi di gioco consentono al croato di sapere sempre dove e quando andare a smarcarsi per contribuire all’uscita da dietro o allo sviluppo della manovra offensiva.
Il fatto che Brozović quest’anno abbia registrato un 64% di successo nei dribbling rende bene l’idea della sua abilità nell’uscire con la palla dalla pressione rivale.
Oltre a gestire palla e ad attirare la pressione avversaria per poi contribuire a superarla, l’ex Dinamo Zagabria ha mostrato anche l’intelligenza necessaria per muoversi e portare via il marcatore che spesso gli allenatori rivali gli piazzano sopra per cercare di ingolfare il possesso nerazzurro.
Con i suoi movimenti Brozović si inseriva all’interno delle rotazioni interiste che spesso hanno liberato linee di passaggio dirette da André Onana verso le punte.
Queste qualità del trentenne croato sono state intuite e affinate per primo da Luciano Spalletti. Al suo arrivo a Milano infatti Brozović si presentava come interno di centrocampo da mediana a due o come mezzala di possesso. Roberto Mancini, Frank de Boer e Stefano Pioli non sono riusciti a trovargli la posizione più adatta in campo. Soltanto Spalletti ha avuto l’intuizione di trasformarlo in un regista in grado di abbinare qualità e continuità.
Come detto in apertura, non è facile per l’Inter sostituirlo. Kristjan Asllani non gode al momento della piena fiducia di Inzaghi, che probabilmente lo considera più una mezzala. A meno dell’arrivo di un giocatore dalla qualità paragonabili a quelle di Brozović, le funzioni di play resteranno nei piedi di Çalhanoğlu, assistito da Henrikh Mkhitaryan.
Date le già menzionate differenze fra i due, è probabile che l’Inter dell’anno prossimo continui nel segno della verticalità (e l’acquisto di Marcus Thuram sembra confermare questa direzione).
Loftus-Cheek al Milan
Ruben Loftus-Cheek è un nuovo giocatore del Milan. Il ventisettenne ex Chelsea ha firmato un contratto con i rossoneri fino al 2027. E così, si conclude l’esperienza a Stamford Bridge del nazionale inglese si interrompe dopo 155 e 13 gol realizzati.
Cosa può aspettarsi il Milan dal suo neoacquisto? Innanzitutto bisogna dire che Loftus-Cheek dovrà dimostrare di aver recuperato una buona condizione fisica. Nelle ultime annate ha giocato poco. Infatti, dopo l’infortunio al tendine d’Achille subito nell’estate del 2019 durante un’amichevole con i New England Revolution ed il successivo prestito annuale al Fulham, nelle ultime due stagioni al Chelsea il giocatore è partito titolare soltanto in 30 partite.
Detto questo, quando in forma, Loftus-Cheek può garantire verticalità al centrocampo rossonero. Non a caso, nonostante gli appena 1542 minuti avuti a disposizione in questa annata in Premier, il centrocampista inglese ha comunque registrato un dato di 0.76 expected threat che, pur di per sé non alto, lo colloca al quarto posto in questa graduatoria fra i giocatori dei Blues. A questo vanno aggiunti i 33 dribbling riusciti (meglio di lui nel Chelsea ha fatto soltanto Sterling) e i passaggi progressivi prodotti (5.29 per 90 minuti).
Un prodotto dell’Academy del Chelsea e parte della nazionale inglese impegnata ai Mondiali di Russai del 2018, Loftus-Cheek va ad inserirsi in un centrocampo rivoluzionato. In mediana infatti il Milan ha perso Sandro Tonali, ceduto al Newcastle e dovrà fare a meno per molti mesi dell’infortunato Ismaël Bennacer.
Senza più nemmeno Brahim Díaz (tornato al Real Madrid) e con soltanto Rade Krunić e Tommaso Pobega attualmente in organico (Aster Vranckx è tornato al Wolfsburg e Adli è fuori dal progetto tecnico) il Milan ha assolutamente bisogno di infoltire la batteria dei centrocampisti. Non a caso in queste ore si sta parlando di un interessamento per il leccese Morten Hjulmand, che porterebbe solidità e geometrie davanti alla difesa.
L’eventuale arrivo del danese (se dovesse concretizzarsi), unito a quello del già menzionato Loftus-Cheek, darebbe come detto una ulteriore ventata di verticalità alla compagine milanista, una squadra che già l’anno scorso aveva abbracciato una maggior ricerca della profondità in fase di possesso.
Se poi Stefano Pioli dovesse abbandonare il tradizionale 4-2-3-1 di partenza per passare ad una mediana con un play e due interni, ecco che Loftus-Cheek potrebbe ricoprire la posizione di mezzala, con una interpretazione non soltanto da box-to-box forte fisicamente, ma anche da giocatore di qualità (88.6% di passaggi realizzati nella stagione appena conclusa).
La scuola argentina
Negli scorsi giorni Jonathan Wilson ha scritto un interessante articolo sul Guardian, riguardante la scuola argentina di allenatori. Come sottolineato dal giornalista inglese, nel Paese sudamericano la passione per gli aspetti tattici del gioco è tanto grande quanto lo è alle nostre latitudini.
Una volta ridotte allo scontro ideologico fra menottismo e bilardismo (un po’ come accadde da noi fra sacchismo e trapattonismo) nelle ultime stagioni le ‘famiglie calcistiche’ argentine si sono diversificate ulteriormente, proponendo modelli come quelli di Marcelo Bielsa e Marcelo Gallardo. Interessante poi il fatto che molti tecnici argentini abbiano allenato nei grandi campionati europei: oltre al già citato Loco Bielsa abbiamo avuto infatti Diego Simeone, Mauricio Pochettino, Jorge Sampaoli e il Tata Martino.
Quest’anno ha avuto successo in Europa un altro tecnico proveniente da quelle zone, precisamente dalla provincia di Buenos Aires: si tratta di Matías Almeyda. L’ex giocatore di Lazio, Parma e Inter ed ex allenatore del River Plate ha infatti vinto il campionato greco alla guida dell’AEK di Atene.
Della proposta di Almeyda ci eravamo già interessati in passato, quando el pelado allenava i San Jose Earthquakes nella MLS.
Altri tecnici argentini, oltre a quelli già citati, che varrebbe la pena seguire? Gabriel Heinze, Guillermo Barros Schelotto, Martín Demichelis, Gabriel Milito, Fernando Gago…