Napoli e Barcellona in questa stagione sono state due fra le peggiori squadre arrivate agli ottavi di Champions. Entrambe sono reduci da un andamento in campionato alquanto balbettante, figlio di scelte tecniche e tattiche disfunzionali.
La sfida di andata fra blaugrana e azzurri ha dunque confermato le preoccupazioni di chi, alla vigilia, si attendeva un match noioso e non particolarmente interessante dal punto di vista degli spunti tecnici.
Per questo motivo, più che analizzare l’andamento della gara del Diego Armando Maradona (conclusasi sul punteggio di 1-1) conviene soffermarsi su un aspetto tattico particolare. In questo caso la scelta è caduta sulla traballante fase difensiva del Napoli.
In questo senso, c’era molta curiosità dopo che la società campana ha deciso di sollevare dall’incarico Walter Mazzarri per affidarsi alla guida tecnica di Francesco Calzona.
Il commissario tecnico della Slovacchia (condotta brillantemente alla qualificazione ai prossimi Europei di giugno) è infatti uno stretto discepolo di Maurizio Sarri, tecnico con cui ha condiviso molta della sua esperienza professionale in qualità di vice allenatore.
Fra le caratteristiche ereditate dall’antico mentore, Calzona annovera anche quella della difesa a zona orientata sulla palla. Un sistema difensivo protagonista anche della tesi con la quale Calzona ha conseguito la licenza da allenatore Uefa Pro presso Coverciano. E, in non possesso, si è subito visto qualcosa di queste idee.
Tutto questo non ha però impedito al Barça di penetrare fra le maglie difensive partenopee, anche se i catalani alla fine non hanno prodotto tanto a livello di expected goals (xG), nonostante i 12 tiri totali registrati (6 dei quali nello specchio della porta).
A creare particolar problemi al Napoli è stata la gestione dei giocatori avversari che andavano ad occupare i mezzi spazi. Questo anche perché molte volte c’era una voragine fra la linea difensiva e quella di centrocampo degli azzurri. Voragine nella quale ha potuto liberamente muoversi İlkay Gündoğan.
A queste difficoltà si sommano poi quelle riscontrare dal Napoli in fase di possesso. I ragazzi di Calzona non sono quasi mai riusciti ad avere la meglio sulla pressione forte blaugrana, finendo per perdere tanti palloni.
La fase offensiva napoletana si riduceva quindi essenzialmente a lanci lunghi per Victor Osimhen, alle portate di Khvicha Kvaratskhelia e alle situazioni da calcio piazzato.
Le cose sono un po' miglioraste quando Calzona ha buttato dentro Hamed Junior Traoré e Jesper Lindstrøm. Sostituzioni che hanno contribuito a far produrre ai napoletani la loro prima conclusione nella porta di Marc-André ter Stegen, coincisa con il gol del pareggio di Osimhen. Come si evince da questa analisi, è molto il lavoro che attende Calzona nelle prossime settimane.
Per approfondire ulteriormente la settimana di Champions appena trascorsa, si rimanda all’ultima puntata de Il Terzo Uomo.
Tuchel va via
Da quando, nel 2016, Pep Guardiola decise di lasciare per andare ad allenare il Manchester City, il Bayern Monaco non ha trovato pace. Il club più importante di Germania non è infatti più riuscito a dare continuità ad un progetto tecnico, vedendosi alternare sulla propria panchina i vari Carlo Ancelotti, Willy Sagnol (ad interim), Jupp Heynckes, Niko Kovač, Hans-Dieter Flick, Julian Nagelsmann e Thomas Tuchel.
Quest’ultimo ha annunciato la sua decisione di lasciare la squadra a fine stagione. Una comunicazione arrivata formalmente dopo la sconfitta subita dai bavaresi a Bochum (3-2).
La scelta di Tuchel getta ulteriore confusione in una situazione già caotica, con il ritorno a ruoli dirigenziali importanti della coppia costituita da Uli Hoeneß e Karl-Heinz Rummenigge, ex bandiere che avevano già guidato il club per trent’anni prima di venir estromessi dalla cabina di comando. Ora Uli e Kalle si sono riappropriati delle chiavi di casa, dopo i licenziamenti di Hasan Salihamidžić e Oliver Khan, i due (ex) dirigenti che avevano chiamato Tuchel al capezzale del Bayern un anno fa dopo l’esonero di Nagelsmann.
Questa grande confusione sotto il cielo di Monaco si è fatta sentire nella campagna trasferimenti della scorsa estate, durante la quale il Bayern si è sì assicurato un Harry Kane subito impattante in attacco, ma che ha lasciato Tuchel senza gradi soluzioni in difesa e a metà campo.
Proprio la mediana bavarese è stata al centro di numerose discussioni quest’anno. Il tecnico ha bocciato la coppia formata da Leon Goretzka e Joshua Kimmich, accusata di essere troppo fragile sulle transizioni avversarie. Il problema è che non c’è altro in casa, col Bayern che non è riuscito ad assicurarsi nessuno dei vari centrocampisti cercati in estate (qualcuno ha detto João Palhinha?).
In campo poi Tuchel è sembrato prigioniero della sua mania di controllo della partita. Lo si è visto nella sfida di Champions contro la Lazio con il Bayern che ha tenuto il pallino del gioco senza però essere mai veramente pericoloso, più preoccupato di evitare le transizioni biancocelesti che di creare qualcosa in avanti.
Detto che, se le cose dovessero continuare ad andare così male, Tuchel potrebbe anche essere esonerato prima della fine dell’anno, resta da capire chi arriverà al suo posto in Säbener Straße.
Circolano tanti nomi (primo fra tutti quello di Xabi Alonso) ma non è detto che Rumenigge e Hoeneß non tirino fuori dal cilindro una sorpresa. Chiunque arrivi comunque dovrà decidere cosa fare con la vecchia guardia, a partire da Thomas Müller. Per il Bayern potrebbe essere infatti arrivato il momento di iniziare a fare a meno dei suoi senatori.
Fino in Corea
Ripartono la J-League e la K-League, il massimo campionato coreano. Quando si parla di tornei del continente asiatico si è soliti riferirsi quasi esclusivamente a quello saudita, al giapponese e al cinese. Poco si dice invece della prima serie sudcoreana.
Eppure quest’anno la K-League si è meritata qualche articolo in più grazie all’arrivo di Jesse Lingard. L’ex enfant prodige del calcio inglese si è infatti accasato all’ FC Seoul. Che realtà si troverà davanti il trentunenne di Warrington?
Qualitativamente, la K-League è di livello inferiore al campionato giapponese e alla Saudi Pro League. Tuttavia, di per se stesso, si tratta di un buon torneo, rispetto al quale spesso i calciatori stranieri hanno però incontrato difficoltà di ambientamento.
Al di là delle motivazioni personali che anno spinto Lingard fino in Estremo Oriente, il suo arrivo contribuisce a dare lustro alla lega e potrebbe aprire le porte per l’arrivo di altri nomi di un certo spessore provenienti dall’Europa.
A Seoul Lingard si troverà ad essere allenato da Kim Gi-Dong, anche lui al primo anno con la squadra provenendo dalla panchina dei Pohang Steelers. In campo invece l’ex Manchester United potrà contare sul supporto di Ki Sung-yueng, centrocampista con un lungo passato nel Vecchio Continente (con le maglie di Celtic, Swansea, Sunderland e Newcastle).
Vedremo inoltre che legame tecnico Lingard costruirà in avanti con l’attaccante russo Stanislav Il'jučenko e col centrocampista e trequartista serbo Aleksandar Paločević.
Perché l’operazione Lindgard si riveli un successo sarà però importante anche il processo di adattamento del giocatore al contesto locale. Si è parlato molto in questi anni della cultura coreana, ma in realtà non molti possono definirsi veramente esperti di quella società.
Descanse em paz Artur Jorge
È di qualche giorno fa la triste notizia della scomparsa di Artur Jorge. Per chi non lo conoscesse, si tratta del primo, grande allenatore di respiro internazionale prodotto dal calcio portoghese. Nella sua lunga carriera Jorge è stato tecnico anche del Psg, della nazionale lusitana e di quella svizzera e del sogno chiamato Racing Matra.
Il suo nome resta però indissolubilmente legato al Porto, club condotto da Jorge ai vertici del calcio europeo grazie alla strepitosa vittoria ottenuta nella coppa Campioni del 1987 (finale vinta ai danni del Bayern).
Quel Porto era una squadra quadrata, tatticamente equilibrata nel suo 4-4-2 a zona. In porta giocava il polacco Józef Młynarczyk. Davanti a lui c’era una linea difensiva ancorata sui due centrali Celso Dias dos Santos e Eduardo Luís.
A destra c’era João Pinto, considerato il miglior terzino destro nella storia del club portoghese mentre a sinistra si muoveva Eduardo Luís o, quando quest’ultimo veniva impiegato centralmente, Augusto Soares Inácio, pendolino instancabile sulla fascia mancina.
In mezzo al campo giocavano António dos Santos Ferreira André e Joaquim Carvalho de Azevedo, conosciuto come Quim. André era l’equilibratore dei dragões, l’uomo incaricato di gestire la manovra della squadra. Quim era invece il mediano di contenimento.
Insieme a loro troviamo António Augusto Gomes Sousa, il cervello della formazione portoghese e Jaime Magalhães, che fungeva da ala destra di raccordo fra la metà campo e gli attaccanti. Questi ultimi due erano i veri fenomeni a disposizione di Jorge, vale a dire Rabah Madjer e Paulo Futre.
Madjer, algerino, conosciuto come il tacco di Allah, è stato uno dei giocatori di maggior talento prodotti dal continente africano. In passato vicino anche all’Inter, Madjer era arrivato in Portogallo nel 1985. Fu lui a segnare il gol del pareggio (ovviamente di tacco) nella già citata finale contro il Bayern, prima che il brasiliano Juary (visto in Italia con le maglie di Avellino, Inter, Cremonese e Ascoli) decidesse l’incontro a favore dei biancoazzurri.
Da parte sua Futre non ha invece bisogno di presentazioni. La futura bandiera dell’Atlético de Madrid è stato infatti il più forte giocatore prodotto dal calcio portoghese dopo Eusébio e prima di Cristiano Ronaldo.
Con questi uomini Jorge si giocò la finale di Vienna contro un Bayern che poteva contare su Jean-Marie Pfaff in porta, sul compianto Andreas Brehme e sul libero Klaus Augenthaler in difesa, su Lothar Matthäus a metà campo e su Michael Rummenigge (fratello di Karl-Heinz) e Dieter Hoeneß in attacco.
I tedeschi partirono da favoriti in quella finale, dominando il primo tempo e andando in vantaggio con una rete realizzata da Ludwig Kögl. All’intervallo però Jorge azzeccò la mossa tattica, togliendo Quim per inserire Juary. Con questa sostituzione il Porto guadagnò campo e cominciò a essere più pericoloso. Fino a ribaltare il risultato e a vincere il trofeo.