Terminati anche i quarti di finale, siamo in dirittura d’arrivo anche per questa edizione della coppa del mondo. A contendersi il trofeo calcistico più ambito restano quattro nazionali: due favorite della vigilia (Argentina e Francia) e due outsider (Croazia e Marocco).
Con i croati che sono alla terza semifinale raggiunta da quando hanno iniziato a prendere parte alla competizione come nazione indipendente (Francia 1998) e che, di conseguenza, appartengono in qualche modo all’élite calcistica, la vera, grande sorpresa di questa edizione qatariota dei Mondiali è senz’altro rappresentata dal Marocco.
I nordafricani sono infatti il primo undici del loro continente a raggiungere il penultimo atto del torneo, assicurandosi così (comunque vada) la possibilità di giocare tutte e 7 le partite che spettano alle compagini che arrivano fino in fondo (la settima partita sarà una delle due finali, la più ambita per il primo posto o la finalina di consolazione per la terza piazza).
Come hanno fatto i marocchini a ottenere questo risultato, a superare quel muro dei quarti che sembrava invalicabile per le squadre africane (ci avevano già sbattuto la testa il Camerun nel 1990, il Senegal nel 2002 e il Ghana nel 2010)? E che significato ha l’aver raggiunto questo traguardo?
Da un punto di vista tattico, la formazione africana si è presentata come una delle compagini meglio organizzate dell’intera manifestazione. Il tecnico Walid Regragui (già vincitore della Champions League africana con il Wydad Casablanca), dopo Roberto Martínez (Belgio) e Luis Enrique (Spagna), ha messo in scacco anche Fernando Santos, terzo allenatore di una candidata al titolo (Portogallo) a non riuscire ad avere la meglio sul rebus tattico proposto dai Leoni dell’Atlante.
L’allenatore del Marocco ha presentato un undici che ha puntato sull’organizzazione difensiva e l’aggressività (prima per contrasti vinti con 63) nella propria metà campo (PPDA di ben 20.8), accettando di lasciare il possesso agli avversari: il dato dei marocchini (31.3%) è il secondo più basso del Mondiale dopo quello della Costarica. Contro il Portogallo, il possesso registrato dal Marocco è stato del 27%.
Questo atteggiamento tattico così ben eseguito ha permesso ai nordafricani di subire una sola rete da quando Regragui ha preso le redini della nazionale nello scorso agosto. Contro Croazia, Belgio, Spagna e Portogallo, il Marocco ha registrato quattro clean sheet.
All’intero di questa costruzione l’obiettivo principale della fase difensiva marocchina è quello di occupare i corridoi di mezzo del campo, chiudendo le linee di passaggio rivali e impedendo all’avversario di turno di occupare con efficacia la zona di rifinitura centrale. Tutto ciò con un blocco tendenzialmente medio, che può abbassarsi in corso d’opera ma non come impostazione tattica di base.
Al di là degli errori dei portoghesi (dai troppi costruttori iniziali agli inserimenti tardivi di João Cancelo e Rafael Leão) il piano gara di Regragui ha funzionato contro gli uomini di Fernando Santos così come aveva fatto contro le Furie Rosse di Luis Enrique.
Il coinvolgimento dei giocatori nel sogno marocchino è tale che anche elementi come Achraf Hakimi e Hakim Ziyech (che aveva rinunciato alla nazionale sotto la precedente gestione di Vahid Halilhodžić) sono ben lieti di dare alla causa un contributo difensivo che difficilmente garantiscono con questa continuità, intensità fisica e applicazione a livello di club. Per dare un’idea: il terzino del Psg è il primo giocatore della competizione qatariota per numero di contrasti (19) ed il secondo per contrasti vinti (13).
A quanto detto finora vanno aggiunte le straordinarie prestazioni del portiere Yassine Bounou, ad oggi il secondo portiere fra quelli rimasti in gara per PSxG +/- con un dato di +1.6 (dietro solo al croato Dominik Livaković con +3.1) e di Sofyan Amrabat. Il centrocampista della Fiorentina, maggiormente a proprio agio in un sistema più reattivo come quello impostato dalla sua nazionale, agisce da vero e proprio libero davanti alla difesa nel 4-1-4-1 con il quale il Marocco si dispone senza palla.
Una volta entrati in controllo del pallone i marocchini azionano rapide transizioni che accompagnano con molti uomini. In fase offensiva la squadra non rinuncia a costruire dal basso, per attirare la pressione avversaria e cercare poi di scavalcarla proprio per colpire in campo aperto.
Come ha fatto notare l’ex tecnico dell’Arsenal Arsène Wenger nel rapporto presentato dal comitato tecnico della FIFA al termine della fase a gironi, in questo torneo stanno avendo la meglio le formazioni in grado di sfruttare le fasce laterali, con le zone centrali spesso congestionate.
In questo senso il Marocco può contare su una catena destra di alto livello, composta dai già citati Hakimi e Zyech e completata dall’interno Azzedine Ounahi, una delle rivelazioni di questa coppa del mondo.
Con questa architettura Regragui ha costruito la success story dei Mondiali 2022 e ha fatto la storia di un continente. Il quarantasettenne nativo di Corbeil-Essonnes ha recepito la stessa lezione appresa da Louis van Gaal, il quale ha recentemente dichiarato che ‹‹il calcio non si gioca più come nel 1998››. E in effetti questa competizione ha finora premiato squadre più attendiste e accorte difensivamente: delle quattro arrivate alle semifinali soltanto l’Argentina cerca di fare la partita.
Tutte le altre formazioni alfiere di un calcio posizionale (Spagna, Germania, Portogallo, Inghilterra e anche Belgio) sono state eliminate, trovando enormi difficoltà nel produrre occasioni (in rapporto proporzionale al dominio avuto e alle qualità dei giocatori a disposizione) o nel concretizzarle. Su questa tematica avevamo già ragionato in una precedente newsletter.
I marocchini invece (così come la Croazia) hanno invece concretizzato le loro, riducendo il potenziale offensivo degli avversari incontrati ad appena 0.89 non-penalty xG per 90 minuti.
La qualificazione del Marocco alle semifinali pone sul piatto anche ulteriori considerazioni. La prima è che la distanza fra il calcio europeo e sudamericano da una parte e quello del resto del globo dall’altra sembra essersi assottigliata, anche vedendo i risultati conseguiti dalle altre africane, dalle asiatiche e dalle nordamericane, tutte giocando un calcio reattivo. Il football sta andando in questa direzione? Oppure non si può paragonare il calcio delle nazionali con quello di club? E ancora: il campionato del mondo non indica più il sistema calcistico leader del movimento calcistico?
L’altra questione riguarda il fatto che a guidare il Marocco ci sia un allenatore africano, così come per le altre nazionali dello stesso continente. Così come ad allenare il Giappone c’era un giapponese e in panchina per l’Australia un australiano, fra l’altro in un momento storico in cui proprio un ex commissario tecnico della nazionale oceanica (Ange Postecoglou) sta facendo bene in Scozia con il Celtic.
La globalizzazione del gioco, resa possibile anche grazie ai nuovi mezzi di comunicazione, ha alzato il livello di conoscenze degli allenatori locali e quello medio delle nazionali un tempo più deboli. O forse si è abbassato quello delle nazioni che precedentemente dominavano il gioco?