Spagna e gioco di posizione
Dopo la Germania, anche la Spagna è stata eliminata dal Mondiale del Qatar.
Dopo la Germania, anche l’altra grande paladina del gioco di posizione (la Spagna) viene eliminata dal Mondiale prima di quanto previsto alla vigilia. L’inopinata sconfitta subita ad opera del Marocco lascia dietro di sé degli inevitabili strascichi, a partire dalla questione relativa al futuro di Luis Enrique, sul quale si sono abbattuti gli strali della critica. Tanto è vero che già si parla dei possibili sostituti dell’asturiano.
All’ex allenatore della Roma si imputa il risultato deludente della spedizione qatariota, a maggior ragione considerando il fatto che la stampa ha sempre definito questa nazionale come la Selección de Luis Enrique.
Fin da quando Lucho ha annunciato i nomi dei 26 convocati per il torneo iridato, ci sono state critiche per i grandi esclusi. Critiche condivise e rese pubbliche anche dall’ex secondo di Luis Enrique, Jesús Casas.
Al di là di questi aspetti la questione di fondo, così come nel caso della già menzionata Germania (che abbiamo trattato in una precedente newsletter), porta a dover fare dei ragionamenti sullo stile di gioco delle Furie Rosse che, dalla vittoria nel Mondiale del 2010, sono riuscite a battere solo Australia, Iran e Costarica.
Il rapporto tecnico stilato da Arsène Wenger per la FIFA al termine della prima fase del Mondiale indica infatti come modello vincente uno antitetico a quello spagnolo.
Una delle conclusioni raggiunte dal gruppo di studio guidato dall’ex allenatore dell’Arsenal è giunto alla conclusione che il gioco sulle fasce sia stato maggiormente produttivo rispetto al controllo delle zone centrali del campo, come evidenziato dal dato relativo all’incremento del numero di reti segnate da palla laterale (+83% rispetto a quanto registrato a Russia 2018).
La Spagna invece ha sempre privilegiato il controllo dei corridoi di mezzo, affrontando la prima sfida ad eliminazione diretta con un tridente offensivo di partenza composto da Dani Olmo (che tende ad accentrarsi), Asensio (13 palloni toccati) e Ferrán Torres. Alla fine le cose sono migliorate con gli ingressi di Álvaro Morata (un no.9 più tradizionale) e Nico Williams, ma gli iberici sono riusciti a completare solo 2 cross sui 21 provati. Inoltre, solo il 13% delle palle laterali messe in area dalla Spagna si sono trasformate in conclusioni.
La mancanza di un riferimento offensivo centrale con determinate caratteristiche si è fatta sentire sia per tedeschi che per spagnoli. Entrambe sono andate in difficoltà contro blocchi bassi.
L’altra grande questione che porta con sé l’uscita della Spagna è quella relativa al dribbling. Come è stato fatto notare da Jurgen Klinsmann, assistente di Wenger nella commissione tecnica della FIFA, negli ultimi dieci anni in Europa si è sviluppata una tendenza che educa i giovani calciatori ad una ‹‹filosofia molto veloce, a uno-due tocchi. Passa la palla velocemente, muoviti, mantieni il possesso. Tutto questo toglie un po’ la capacità dei giocatori di giocare uno contro uno››.
Lo ha ammesso anche Rodri: ‹‹forse non abbiamo giocatori con caratteristiche adatte per attaccare questo tipo di difese. E forse avremmo bisogno di più 1c1 sulle fasce, di gente che attacchi lo spazio››.
Questo tipo di calcio, praticabile e funzionale a livello di club, sembra in questo momento incontrare parecchie difficoltà nel calcio delle nazionali, dove c’è meno tempo per arrivare a quel grado di preparazione necessaria per svilupparlo.
Il risultato è stato di avere una squadra padrona del campo (77% di possesso con più di 1000 passaggi completati) senza però che questo si traducesse in reali pericoli creati per la porta di Yassine Bounou.
Praticamente quello che è successo nel secondo tempo contro il Giappone. Dan Perez de L’Équipe ha paragonato questa uscita contro il Marocco a quella patita dagli iberici contro l’Italia nella semifinale dell’europeo 2021.
In realtà, in quella occasione la soluzione di Dani Olmo come falso nueve aveva messo in difficoltà gli azzurri, anche se la Spagna ha avuto anche allora problemi in fase di finalizzazione, segnatamente proprio con un no.9 come Morata.
Detto questo, resta come il calcio posizionale proposto da Luis Enrique non abbia mostrato quella verticalità necessaria per attaccare i blocchi bassi, con i calciatori spagnoli che volevano tutti palla sui piedi (eccezion fatta per Ferrán Torres sulla destra).
Indipendentemente dal talento individuale a disposizione diventa quindi interessante provare a discutere sulla tipologia di giocatori che questo modello di calcio tende a produrre e sulla eccessiva rigidità offensiva di certe strutture a livello di nazionali, tenendo conto del fatto che le migliori espressioni di gioco in questo Mondiale finora sono state portate avanti da Francia e Brasile, due squadre cioè che presentano appunto una struttura più flessibile nell’ultimo terzo di campo.